giovedì 6 gennaio 2022
Don Lorenzo era parroco all'Isola del Giglio quando avvenne la tragica collisione. "Mi dissero: c'è tanta gente che sta venendo a riva"
La Costa Concordia

La Costa Concordia - Ansa

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«Vennero subito dei gigliesi ad avvisarmi: 'Don Lorenzo, una nave ha fatto naufragio qui davanti, c’è tanta gente infreddolita e bagnata che sta venendo a riva'. Non ci ho pensato un attimo: sono sceso da casa e, passando per la porticina interna, ho spalancato il portone della chiesa per far entrare centinaia di persone, sistemarle sui banchi o dovunque ci fosse posto, dar lor i maglioni e le coperte che avevo, anche le tovaglie dell’altare per coprirsi. E, come me, tanti fantastici gigliesi».

Don Lorenzo Pasquotti, oggi 71enne e parroco all’Amiata, sempre in diocesi di Pitigliano-Sovana-Orbetello, quella notte del 13 gennaio del 2012 era parroco a Giglio Porto e riavvolge il nastro di quanto accaduto nella chiesa di san Lorenzo e Mamiliano, a due passi dal porto: «Ho il ricordo di gente che si dava da fare in ogni modo, con quello che aveva, di fronte ad un’emergenza eccezionale per una piccola isola, mentre dalla nave scendevano 4.300 persone».

I naufraghi della Costa Concordia

I naufraghi della Costa Concordia - Ansa

Don Lorenzo, l’accento ancora marcato di quella Milano dove è nato, unito nella simpatia tipica della gente di Toscana che lo ha adottato, non si è sentito affatto un eroe allora, e ancora oggi rifugge da certi 'santini' che alcuni reportage gli hanno cucito addosso. «È vero. Ho spalancato le porte della chiesa e usato perfino le tovaglie dell’altare per coprire chi aveva freddo: ma lei cosa avrebbe fatto? La gente del Giglio cosa si sarebbe aspettata che il loro parroco facesse? E soprattutto: Gesù Cristo che cosa avrebbe fatto? Io non mi sono neanche posto il problema di una logica del da farsi, ma ho preso e ho fatto, proprio come i gigliesi».

Don Lorenzo Pasquotti

Don Lorenzo Pasquotti - .

Don Lorenzo a questo punto si abbandona ad un particolare che non ha mai raccontato nelle tante interviste che pure ha concesso ad ogni anniversario del naufragio della Concordia. «Appena mi avvisarono, chiamai il mio vescovo dell’epoca (Guglielmo Borghetti, oggi vescovo di Albenga-Imperia, ndr) non per chiedergli il permesso di aprire la chiesa ma solo per informarlo, però non rispondeva e più tardi ho saputo che era in riunione e aveva messo il silenzioso. Mi richiamò lui verso le 23, allarmato: 'Don Lorenzo, ma cosa è successo? Perché mi chiami a quest’ora?'. Non sapeva ancora niente, era in auto e lo invitai a sintonizzarsi sulla radio. Poi mi rispose con parole che mi sono rimaste scolpite nella mente: 'Fai quello che il tuo cuore ti dice, sappi che il tuo vescovo è con te'. Ecco, la chiesa era già piena di naufraghi e io in quel momento mi sono sentito dentro la maternità della Chiesa, dentro un’anima di Chiesa che interviene laddove c’è bisogno, dove c’è sofferenza, nell’essenza di condividere Gesù Cristo. Quella notte non mi sono messo la bandierina da prete, non sono stato lì a dire: guardate come sono bravo perché sono prete, ma l’ho fatto proprio con lo spirito e il cuore della Chiesa. Ripenso alla mia vocazione adulta, arrivata dopo che sono passato attraverso tutte le vicende di un uomo normale, fidanzate comprese, e aver lavorato 10 anni come dipendente e anche in fabbrica: so cosa vuol dire la gente, i bisogni che si hanno. L’umanità è sempre stata molto presente nel mio essere prete, mai sopraffatta da quella spirituale, e quella notte è stata l’occasione per darle una bella lucidata».

Un lucido che don Lorenzo 'tira' ancora sulle sue scarpe da prete, che adesso solcano i sentieri di montagna dell’Amiata dopo le ciabatte delle spiagge dorate del Giglio. Eppure, ogni volta, ripensa ai volti particolari di quella notte: «Quelli dei vecchi sbarcati dalla nave. Perché poco dopo le donne e i bambini, vennero accolti dalle straordinarie suore francescane del Giglio, nel loro asilo, e in chiesa rimasero soprattutto gli anziani. Erano lì, sulle panche, un po’ spaesati, ma non mollavano quel posto, finalmente calmi e con i piedi sulla terra. C’erano tanti tedeschi e io, che un po’ lo parlo, gli spiegai dove si trovavano e chiedevo di cosa avessero bisogno. In casa avevo delle caramelle, era da poco passato Natale, e allora sono salito a prenderle anche per loro. Per quei vecchi che mi sono rimasti nel cuore».

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