Un frame tratto dal video della Polizia di Stato mostra un momento dell'operazione che ha condotto all'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 31 persone accusate a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di droga e con forti legami con trafficanti sudamericani, latitanti ed esponenti di spicco della criminalità organizzata - Ansa / Polizia di Stato
«Banksy... Bansky... Bans...key». Per il criptomondo di narcos, mafiosi, pusher, cavalli e corrieri l’ortografia dell’artista più enigmatico e più pagato del mondo era a sua volta un enigma, ogni volta che occorreva chiamare l’ineffabile e tentacolare broker internazionale della droga. Lui sì se l’era scelto bene il nickname sulle chat criptate. Bansky era Andrea Deiana, 41 anni, tuttora ricercato in tutta Europa. Trafficante, ma anche critico d’arte. Ma anche «amico» di Raffaele Imperiale, uno dei camorristi più pericolosi, alleato con il clan degli Amato, e protagonista della faida di Scampia e Secondigliano con i Di Lauro, arrestato a Dubai (ed estradato un mese fa), e trovato con due Van Gogh rubati in casa. Il suo amico Deiana è uno che poteva dargli consigli in materia. Uno che muoveva 100 chili di cocaina, o 600 di hashish, o 30 chili di ketamina (maggior sequestro in Italia) con un messaggino. Oppure uno che ordinava un quadro da 500mila euro facendolo ricomprare a società compiacenti a più del doppio e pagando loro una commissione per il disturbo di essersi sporcate le mani per lui. Perché «è così che si puliscono soldi, senza pagare spese anzi guadagnando», ecco i suoi consigli in un’intercettazione con Vincenzo Amato, un altro boss, pugliese, clan Coluccia di Galatina, anch’egli latitante. Il Bansky di Terracina, Deiana, era titolare di una galleria d’arte in centro ad Amsterdam che la squadra Mobile di Milano considera centro di riciclaggio del narcotraffico internazione. Deiana nella stessa chat con il boss dei Coluccia, probabilmente per fargli capire che anche lui conta, gli racconta di come ha organizzato la fuga dell’altro boss, quello della camorra, da Kiev, dov’erano in stanza insieme, a Dubai, dov’è stato arrestato e estradato otto anni dopo. «Kiev era pericolosa...Giravamo armati e con guardie del corpo... E al confine guardie che passavano armate a controllare e se vedono gente sparavano subito», si raccontavano i due trafficanti di droga, di Terracina e Galatina, come se parlassero di adesso. «Lo hanno fatto partire da lì con un jet privato...(Imperiale)... siamo arrivati sulla pista con 4 jeep. I servizi americani gli avevano detto di collaborare, gli davano il passaporto. Lui si è rifiutato». Millanterie o scenari inediti? Bisognerà attendere l’arresto dei due intercettati latitanti per avere la risposta. L’operazione di ieri della squadra Mobile diretta da Marco Calì, e, nello specifico, dell’Antidroga, guidata da Domenico Balsamo, ha portato a 31 ordinanze cautelari (21 in carcere), nell’inchiesta coordinata dai pm della Dda Silvia Bonardi e Cecilia
Vassena. E, proprio come il denaro, anche l’unico Bansky di cui l’identità è nota non dormiva mai: «…Amo’ stai esagerando… io non riesco mai a parlare con te… tu sei sempre al telefono… perennemente da quando apri gli occhi a finché li chiudi…», gli rimprovera la moglie partoriente in una camera d’ospedale della clinica San Giuseppe. «Scusa c’ho da fare sta cosa qua», gli risponde lui, e viene immortalato in foto mentre preleva una mazzetta di soldi dalla cassaforte e la mette in mano a Manuel Fernandez, biker dei «Nomads» di Cologno Monzese, che da cliente affezionato si è riconvertito in corriere della droga, nella piramide a struttura verticale, e a compartimenti stagni, nell’organizzazione che bonificava le auto con maniacalità quotidiana, di magazzinieri, fornitori, c’era spazio anche per un’altra attività più tradizionale della galleria d’arte Art3035 di Amsterdam. Il ristorante Monkfish di Peschiera Borromeo, gestito da Angelo Di Monte e Manuel Zucca, dove le indagini sono partite, che gli investigatori ritengono al centro delle forniture della movida milanese (compresa la cocaina e la ketamina che sarebbero arrivate ad Alberto Genovese, tra gli indagati). Ma anche questo non è che un tassello di una rete che comprende camorra e ’ndrangheta, che va dalla Turchia al Sudamerica al Nord all’Est Europa e che si perde con un trafficante morto, Raffaele Munafò, che faceva base in Colombia e che "lavorava", tanto con i narcos quanto con la criminalità lituana e che nel 2020 è morto "in un incidente d’auto" in Colombia.