Padre Alex Zanotelli (Ansa)
Mentre si prepara al turno odierno del 'digiuno di giustizia', nella staffetta ideata da preti e suore di strada sotto le finestre di Montecitorio contro le politiche di chiusura del governo, padre Alex Zanotelli ripensa alla vicenda dei 67 migranti della nave Diciotti cui il Viminale ha negato a lungo l’ingresso in porto. «Siamo arrivati a un punto – afferma il comboniano – di una gravità estrema. Praticamente abbiamo sfiorato una crisi istituzionale dello Stato democratico. Un cortocircuito, per fortuna è intervenuto il Capo dello Stato. Un uomo solo, il ministro dell’Interno, pretende di decidere il destino di tanta povera gente. Quello che mi fa più male è che si sta giocando sulla pelle di tanti poveri disgraziati che stanno scappando, in una maniera o in un’altra, da situazioni insostenibili. Perciò stiamo portando avanti questo digiuno a staffetta a Roma in solidarietà con i migranti».
Lo avete cominciato partendo da piazza San Pietro. Perché?
Per dimostrare la nostra vicinanza a papa Francesco che è isolato in questo momento. Abbiamo ricordato le parole molto importanti che ha pronunciato nell’omelia a Lampedusa 5 anni fa: 'Avete mai pianto quando avete visto un barcone affondare?'. Ha toccato il punto, la sofferenza dell’altro non ci tocca più. La disumanizzazione è lampante e questo è orribile. Altra sua frase da meditare è quella di Lesvos: 'Quando guardiamo negli occhi i bambini dei campi profughi comprendiamo la bancarotta dell’umanità'. È il cuore del problema e sembra che il governo italiano non ne sia toccato.
Come va il 'digiuno di giustizia'?
Abbiamo avuto molta solidarietà da parte di monasteri, suore di clausura e da tanti cittadini che hanno spontaneamente aderito. Per verificarlo basta andare sulla pagina Facebook 'Digiuno di giustizia'. Siamo molto contenti perché hanno cominciato digiuni locali. La gente comincia a prendere coscienza e reagire davanti al male, che ormai non pare più tale, è una cosa ovvia. È la banalità del male.
Che è arrivato in fretta. Come lo spiega?
Il problema è profondo. Non ce ne siamo mai accorti e l’arrivo degli stranieri ha dimostrato un’evidenza: noi europei, anche noi italiani, siamo razzisti. Mi spiego. In cinque secoli abbiamo maturato un senso di superiorità europea. Noi siamo la civiltà, la cultura, la religione, la filosofia. Questo ha fatto da sostrato allo schiavismo, al colonialismo, al neocolonialismo e alla globalizzazione. Ora il razzismo viene a galla perché queste persone stanno arrivando qui. Finché erano lontane facevamo adozioni a distanza ed era facile fare la carità. Ma da quando vengono a disturbare il nostro stile di vita, è difficile fare adozioni a vicinanza. Cosa richiede questo tempo? La preghiera, fondamentale per i credenti. Ma non basta. Serve una preghiera che lotti insieme a Dio davanti a queste tragedie per cambiare le cose. Noi cristiani dobbiamo reagire. Il Papa ci ha chiesto di urlare, di non avere paura. Allora dobbiamo con saggezza cominciare a fare disobbedienza civile se serve a salvare vite umane. Quella disobbedienza che ci ha insegnato Gesù nel Vangelo, quella non violenta di Gandhi e Martin Luther King. È in gioco la vita di donne, bambini, uomini. Propongo alla Chiesa italiana di seguire l’esempio statunitense e diventare sanctuary, rifugio per chi è destinato ad essere deportato in Paesi dove rischia la morte. Non possiamo permetterlo. Era una pratica in voga negli anni 80 e che la Chiesa cattolica nordamericana ha ripreso con Trump.
La rabbia di chi è povero e italiano spesso si sfoga contro gli stranieri, come in una guerra. Non ci siamo dimenticati di loro troppo a lungo?
È vero. Perciò ho scelto di vivere a Napoli nel Rione Sanità accanto alla gente. È fondamentale che la Chiesa stia accanto a tutti i poveri e, mi permetta, non sempre lo è stata. Ringrazio il Papa per la sua chiarezza su questo. Alla fine è più tollerabile la miseria in Africa perché in un ghetto vivono tutti la stessa condizione. Qui essere esclusi è intollerabile, ecco perché certi partiti alimentano la rabbia e riscuotono consensi.