mercoledì 26 giugno 2024
I tre gruppi europeisti Ppe, Pse e Renew confermano il pacchetto sui “top jobs” con l'ex premier del Portogallo al Consiglio e la premier estone agli Esteri
Kallas, von der Leyen, Costa

Kallas, von der Leyen, Costa - ANSA

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La presidente-bis in pectore della Commissione incaricata di raccogliere il consenso italiano Bruxelles Sul trio dei vertici Ue arriva un primo accordo preliminare, a due giorni dal Consiglio Europeo che tra domani e venerdì dovrebbe prendere la decisione finale. Una pre-intesa con anche la promessa di un portafoglio importante per il commissario italiano. Ieri, infatti, nel corso di una videoconferenza hanno trovato un’intesa i sei negoziatori delle tre famiglie politiche della “maggioranza Ursula”: i premier di Grecia e Polonia Kyriakos Mitsotakis e Donald Tusk per i Popolari, il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il premier spagnolo Pedro Sánchez per i Socialisti e il presidente francese Emmanuel Macron e il capo uscente del governo olandese Mark Rutte per Renew (liberali). Come ormai era chiaro da giorni, la terna sul tappeto da settimane ha retto: Ursula Von der Leyen confermata alla Commissione Europea per il Ppe, l’ex premier portoghese Antonio Costa al Consiglio Europeo per i Socialisti e la premier estone Kaja Kallas come Alto rappresentante Ue per Renew. Nomi che, oltre a soddisfare le tre famiglie politiche, rispettano le esigenze di equilibrio tra i sessi (due donne e un uomo) e origine geografica (Nord, Sud, Est).

«Una buona decisione», ha commentato il leader della Cdu in Germania, Friedrich Merz, confermando l’intesa. La partita però non è ancora chiusa, serve l’intesa formale al Consiglio Europeo di questa settimana. Certo, la pre-intesa di ieri potrebbe spianare la strada, ma c’è chi avverte che un accordo «preocotto» potrebbe irritare altri capi di Stato e di governo di altre famiglie politiche. E in effetti sono subito arrivate le invettive del premier ungherese Viktor Orbán, che su X ha parlato di accordo che «va contro tutto ciò su cui si fonda l'Ue. Invece dell'inclusione, si semina la divisione».

In realtà Orbán è già isolato dai leader. Piuttosto, l’occhio è alla premier italiana Giorgia Meloni, che già alla cena dei leader del 17 giugno era di pessimo umore, sentendosi messa a margine mentre i sei negoziatori discutevano fra loro. E nei giorni scorsi ha insistito che prima bisogna parlare dei programmi, con dubbi sull’opportunità di una decisione prima delle elezioni francesi. La maggioranza qualificata necessaria per nominare i tre vertici Ue (15 Stati per il 65% della popolazione) in realtà c’è anche senza l’Italia.

Il punto è che rimane politicamente molto difficile escludere dall’intesa un grande Paese fondatore, cosa finora mai successa. Secondo varie indiscrezioni, Von der Leyen è stata incaricata dai negoziatori di trattare direttamente con Meloni. Non in quanto presidente dei Conservatori, si badi bene, visto che ormai appare esclusa un’alleanza formale con FdI al Parlamento Europeo per il no secco di Socialisti e Renew. Ma, appunto, in quanto capo del governo italiano. Al centro, neanche a dirlo, la questione del portafoglio del futuro commissario italiano. Ieri, secondo alcuni diplomatici, i negoziatori hanno già contattato la premier garantendole un «portafoglio importante».

Si sa che l’Italia vuole una vicepresidenza esecutiva, con un portafoglio economico. E sempre più ormai anche a Bruxelles scommettono che il commissario italiano sarà Raffaele Fitto. Elemento importante che ha favorito l’intesa di ieri: il Ppe ha rinunciato alla pretesa di stabilire fin da ora che al termine del mandato di Costa al Consiglio Europeo, tra due anni e mezzo, fosse garantito che gli sarebbe succeduto un popolare.

La ragione è che tradizionalmente, dopo due anni e mezzo di mandato del presidente del Parlamento Europeo (a Strasburgo con grande probabilità sarà rieletta la popolare Roberta Metsola), segua poi un socialista. Il rischio per i Popolari è di ritrovarsi con una sola carica (per quanto cruciale, la presidenza della Commissione) e i Socialisti due, visto che il presidente del Consiglio Europeo è sempre stato confermato per un secondo mandato. Rimane poi la difficile partita del voto di conferma di Von der Leyen al Parlamento Europeo, probabilmente a metà luglio a Strasburgo. I 399 seggi che le assicura la “maggioranza Ursula” sono insufficienti a garantirla dai franchi tiratori (visto che c’è un margine di soli 38 seggi rispetto alla maggioranza assoluta di 361, e i gruppi sono molto eterogenei).

«Non ci saranno assegni in bianco», ha avvertito del resto la presidente del gruppo dei Socialisti e Democratici all’Europarlamento, Iratxe Garcia Perez, appena riconfermata (a lei poi seguirà, a metà mandato, un presidente del Pd, come da accordi pre-elettorali confermati dopo il voto). Intanto i Verdi, con i loro 53 seggi, ieri sono tornati a offrirsi di entrare in maggioranza per «porre fine alla paralisi», ma restano le pesanti perplessità di una fetta del Ppe, tra cui lo stesso presidente Manfred Weber e Forza Italia, anche se Von der Leyen appare propensa e dovrebbe incontrarli a breve.

L’alternativa sarebbe un accordo sotto banco con FdI, visto che altri big del Ppe, tra cui i polacchi del premier Donald Tusk, rifiutano categoricamente intese con l’intero gruppo dei Conservatori, che conta anche i nazional-populisti polacchi del Pis.

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