Un'immagine del relitto in fondo al mare - Guardia costiera
Arriva il tempo della pietà in questo luglio di morte nel Mediterraneo centrale. I nove corpi dei migranti che da quattro settimane riposano sul fondo del mare, a 90 metri di profondità, dimenticati a circa 7 miglia a ovest di Lampedusa vanno recuperati.
È l’appello lanciato al governo dalla Caritas e di Pietro Bartolo. «Non possiamo lasciarli lì, è un’opera di misericordia verso questi corpi e un atto di civiltà» afferma don Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana. «Il pensiero di quei morti abbandonati in mare non mi fa dormire, è angosciante sapere che sono sul fondo del mare. Probabilmente ci sono dei bambini», aggiunge Bartolo, che è stato il medico di Lampedusa che ha salvato tante vite e composto tanti cadaveri e oggi è europarlamentare. Sono loro a sollecitare le autorità italiane per recuperare i cadaveri.
Quella del naufragio del 30 giugno scorso al largo di Lampedusa è una storia, davanti ai quasi mille morti affogati da gennaio per raggiungere la Fortezza Europa, che è doveroso ricostruire perché anche questa tragedia non venga ricoperta dall’oblio.
I corpi, insieme al relitto della vecchia barca con la quale avevano intrapreso il tragico viaggio della speranza dalla Tunisia, sono stati identificati il 7 di luglio tra Lampedusa e Lampione dalla nave Dattilo della Guardia costiera, con l’ausilio di un robot sottomarino (Rov) in grado di lavorare fino a 300 metri di profondità. Nel naufragio, causato probabilmente dal ribaltamento dell’imbarcazione per lo sbilanciamento dei migranti alla vista delle motovedette della Guardia costiera, quando la costa dell’isola era prossima e i soccorsi in arrivo, hanno perso la vita 16 persone, tra cui diverse giovani donne, (una era incinta) mentre i superstiti sono stati 46.
I soccorritori li avevano tratti in salvo ad uno ad uno tuffandosi di notte in una corsa contro il tempo. Era stata la procura di Agrigento, con il Procuratore della Repubblica Luigi Patronaggio – che indaga dal 30 giugno per naufragio e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina – a chiedere e ottenere l’uso del robot subacqueo. Era stato anche realizzato e pubblicato un video da cui erano state tagliate le immagini più raccapriccianti, ma il recupero dei cadaveri dei migranti da parte del governo non è mai partito, probabilmente per il costo ritenuto elevato.
«Vogliamo assolvere a un’opera di misericordia – prosegue don Soddu – non possiamo lasciarli in pasto ai pesci aspettandone la dissoluzione. Anzitutto sollecitiamo le autorità, ma se nessuno si muove ci dichiariamo disponibili a finanziare il recupero delle spoglie e del natante. In questo caso attendiamo le autorizzazioni».
Per prevenire le solite polemiche il direttore dell’organismo pastorale della Cei fa notare che non è la prima volta che la Caritas nazionale si preoccupa della sepoltura dignitosa degli esseri umani: «Quando ci fu il terremoto nel Centro Italia, il cimitero di Amatrice venne sconquassato e le bare fuoriuscirono dal terreno. Allora provvedemmo alla costruzione di un centinaio di loculi durante l’anno della misericordia. Non sono iniziative estemporanee, ma fanno parte dell’attenzione a 360 gradi per la persona umana. È carità».
Pietro Bartolo è pronto a collaborare con la Caritas italiana per coprire le spese del recupero. Non ci sono cifre ufficiali. «però dovrebbero aggirarsi sui 50mila euro. Comunque sono già riuscito a raccogliere circa metà della somma, se le autorità dello Stato non dovessero attivarsi le metto a disposizione con la Caritas per coprire i costi dell’operazione che andrebbe compiuta dalla Marina con l’autorizzazione del governo e della Procura agrigentina per motivi umanitari. Non credo ci siano ostacoli. Otto corpi sono sparpagliati sul fondale, uno è imprigionato nella barca, occorre muoversi in fretta. Li consegneremmo prima alla magistratura che sta indagando e poi organizzeremmo i funerali per dare loro degna sepoltura in questa terra che non hanno potuto raggiungere».
Non è la prima volta che il governo italiano organizza il recupero delle vittime di tragedie del mare. Nell’ottobre 2016 fu l’esecutivo guidato da Matteo Renzi a ripescare la barca e i cadaveri del naufragio del 18 aprile 2015, il più grande della storia dell’immigrazione nel Mediterraneo. I morti erano più di 800 e si cercò di identificarli ad Augusta con gli esperti del laboratorio di Antropologia forense Labanof di Milano, ma non fu possibile perché erano troppo ammassati. Stavolta l’operazione è molto più semplice, ma serve la stessa pietà di cinque anni fa.