mercoledì 30 novembre 2022
La testimonianza di Herman Lindsey alla manifestazione al Colosseo della Comunità di Sant'Egidio. Vittima di agenti e giudici in carriera, si batte per l'abolizione e per aiutare i ragazzi a rischio
«Tre anni innocente nel braccio della morte ho trovato la mia missione»
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«Passare tre anni nel braccio della morte non avendo commesso alcun reato è stato traumatizzante. Però questa pagina tragica della mia vita credo sia stata un dono di Dio. Nella Bibbia succede spesso: un dramma ti indica qual è la tua missione. E lo scopo della mia vita è convincere le persone di quanto sia sbagliata la pena di morte. E aiutare i ragazzi a stare lontano dal crimine». Herman Lindsey è un afroamericano condannato a morte in Florida per l’omicidio, nel 1994, del proprietario del banco dei pegni di Fort Lauderdale durante una rapina. Un processo viziato da irregolarità e condotta persecutoria del pubblico ministero. Nel 2009, con verdetto unanime, la Corte Suprema della Florida accerta che non ci sono prove sufficienti e che il processo non è stato regolare. Lindsey adesso è Direttore Esecutivo di Witness to Innocence ed è nel direttivo di Floridians for Alternatives to the Death Penalty.

Condannato senza prove. Perché?

Negli Stati Uniti è abbastanza normale. In polizia più arresti fai e più fai carriera. Spesso adottano scorciatoie per arrivare al risultato. Sono tanti gli errori giudiziari. Gli agenti per dimostrare di essere i migliori sono svelti a fabbricare prove o a mettere insieme elementi slegati tra loro.

Lo fanno intenzionalmente?

Alcuni sono in malafede. Le indagini sono fatte male. Nei bracci della morte sono molti gli innocenti

Quanto pesa il colore della pelle?

Spesso conta molto. Il nostro è un Paese pieno di divisioni. Ma ci sono razzismi diversi, anche contro bianchi, per origini nazionali.

Cosa ha ribaltato il verdetto?

Il mio caso ha fatto la storia della giustizia in Florida. Tutti e sette i giudici della Corte suprema dello Stato hanno votato contro la mia condanna. Nelle motivazioni hanno scritto che il mio processo «non è stato solo sbagliato, ma orrendo». Indagini condotte per trovare un colpevole qualunque. E sono finito in trappola io. Il giudice dell’accusa era uno nuovo, doveva dimostrare di essere bravo.

Prova odio verso di lui e la polizia?

No, non ce l’ho con loro, fanno parte di un sistema sbagliato. Me la prendo di più con la giuria. Cittadini che dovrebbero esprimere il loro parere «oltre ogni ragionevole dubbio». Ma la gente vede troppa tivù e fiction sul crimine. E pensano che l’arrestato è sempre colpevole: «Se l’hanno preso ci sarà un motivo». È come se i giurati leggessero di un giallo solo le prime pagine: credi di avere capito subito il colpevole, poi regolarmente quello vero spunta alla fine.

Che persone ha conosciuto nel braccio della morte?

La stupirò, ma ho trovato grande comprensione. Colpevoli o innocenti, sono tutti accomunati dallo stesso destino. Non c’è razzismo, mi hanno aiutato molto, come una famiglia. E ho visto il fallimento della società. E vite che all’improvviso fanno scelte orribili.

La diffusione del crimine negli Usa non prova l’inefficacia del boia?

Nessuno pensa che verrà mai arrestato. E fa più paura passare la vita in carcere. La verità è che per fermare il crimine bisognerebbe combattere la povertà. E poi superare il pregiudizio: chi esce dal carcere e vuole rigare dritto, fatica a trovare lavoro. Nessuno si fida più. E torni a delinquere per sopravvivere.

Gli Usa aboliranno la pena di morte?

Questo momento arriverà, almeno per la gran parte degli Stati. Ma il sistema giudiziario dipende più dalla gente che dalla politica. Chiunque potrebbe finire da innocente nel braccio della morte, ma nessuno se ne rende conto. Serve una battaglia culturale. Ora i politici non lo fanno per paura di perdere voti. La mia missione è parlarne: scuole, parrocchie, comunità, giornali, tivù, vado ovunque. E chiedo sempre: quanti innocenti pensate sia giusto uccidere per punire un colpevole?


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