Papa Francesco con Bentolo - N.S.
«Aspettavo di incontrarti. Il tuo gesto mi ha commosso». Quando papa Francesco lo ha abbracciato, Bentolo si è sentito «guarito da tutte le ferite. Adesso chiamerò i miei amici ancora prigionieri in Libia e gli farò arrivare la benedizione del Papa», ha detto tenendo per mano il Pontefice.
Il Papa desiderava questo incontro. Bentolo è un giovane camerunense fuggito nel 2020 dal conflitto che non gli ha lasciato scampo: combattere oppure sfuggire alla logica dell’odio. Ha fatto la fine della preda. Catturato dai trafficanti in Libia è stato venduto ai guardiani di Stato che lo hanno portato in un campo di prigionia ufficiale a Zawiyah, sotto il controllo della milizia al-Nasr e della banda del maggiore della guardia costiera Abdurahman al-Milad (noto come Bija) e poi a Zuara. In uno dei centri di detenzione ha trovato altri profughi subsahariani cristiani, alcuni dei quali in fin di vita dopo mesi di torture e privazioni.
La croce allestita in un lager libico - N.S.
Dall’interno del lager libico il giovane camerunense entrò in contatto con alcuni attivisti per i diritti umani raggiungibili attraverso un telefonino che i prigionieri avevano nascosto. E attraverso gli attivisti era entrato in contatto con don Mattia Ferrari. E così si venne a sapere di alcuni migranti che dopo maltrattamenti, abusi, torture, erano in fin di vita. Nel suo francese dolce e dolente Bentolo chiede a don Mattia «una parola di conforto per questi fratelli che stanno morendo».
Un particolare della croce allestita dai migranti in un lager libico - N.S.
E così il giovane sacerdote modenese, cappellano di Mediterranea Saving Humans, a cui recentemente è stato intensificata la tutela delle forze dell’ordine a causa di rischi provenienti da ambienti vicini alla criminalità libica, è riuscito a pregare con i ragazzi prigionieri accompagnando uno di loro fino alla morte. «In questo modo - ricorda Bentolo - Sami è morto con il conforto di una benedizione e questo gli ha dato un po’ di serenità prima di lasciarci». Le immagini di Sami sono un atto d’accusa. Pochi giorni prima del decesso appariva senza più alcuna energia, totalmente smagrito e con lo sguardo sperduto. Solo qualche mese prima era un giovane in forze, ma la sua estrema povertà ed anche l’ostinazione nella sua fede cristiana gli sono costati le peggiori sevizie da parte dei carcerieri libici.
Il giovane Sami prima e dopo le torture che lo hanno portato alla morte - N.S.
Papa Francesco aveva saputo di questo accompagnamento di don Mattia Ferrari e già mesi fa aveva espresso il desiderio di poter ringraziare Bentolo. Fino a quando del giovane camerunense si sono perse le tracce. «Temevamo che fosse stato inghiottito dal sistema criminale libico - racconta don Mattia Ferrari - oppure che fosse morto in mare». Poi un giorno la nave di soccorso dell’organizzazione umanitaria tedesca Sea Watch interviene nel Mediterraneo Centrale salvando decine di profughi caduti in acqua da un barcone malconcio. Pochi minuti e sarebbero annegati tutti. Tra loro c’era proprio Bentolo.
Una foto di gruppo dell'incontro che il Papa ha avuto con il migrante Bentolo - N.S.
Una volta sbarcato in Italia, il ragazzo ha cercato nuovamente don Ferrari. Ora il camerunense è ospite di un centro di accoglienza. Non appena papa Francesco ha saputo del suo arrivo in Italia ha chiesto di poterlo incontrare. E oggi finalmente a casa Santa Marta il Pontefice ha potuto abbracciare il giovane che attende il riconoscimento dello status di profugo. Erano presenti proprio don Mattia Ferrari con una delegazione di Mediterranea guidata da Luca Casarini, recentemente convocato dal Papa come “invitato speciale” al Sinodo. Nel gruppo anche l’operatrice sociale e giornalista Katia Fitermann e da sorella Adriana Domenici, consacrata che dal 2014 si prende cura delle famiglie accolte presso lo “Spin Time” a Roma.
Il pontefice ha rivolto molte domande a Bentolo e chiesto ai presenti quali aggiornamenti arrivassero dalle coste maghrebine. Nel corso del lungo colloquio il Papa ha parlato della situazione dei migranti spinti e abbandonati nel deserto tra Tunisia e Libia e ha chiesto di vedere alcune immagini delle violazioni dei diritti umani.