Una bimba di 10 anni è morta soffocata, si indaga su una sfida online - Archivio Ansa
Le chiamano challenge (sfide), ma spesso vogliono apparire come innocui giochi per bambini, che vengono condivisi con amici e sconosciuti attraverso i social network. In alcuni casi si tratta semplicemente di azioni sciocche o ridicole, ma sempre più di frequente vengono imposte regole e procedure talmente pericolose da arrivare quasi alla morte. È stato questo il caso della bambina siciliana di 10 anni morta al termine di una prova estrema a Palermo.
La dinamica dei fatti
La piccola si era legata al collo una cintura che aveva fissato al termosifone per partecipare su TikTok alla "Black out challenge" (o "hanging challenge") una prova di soffocamento estremo. L’obiettivo di questo genere di sfide è provocarsi uno svenimento (il cosiddetto "black out") togliendosi aria con una sciarpa o una corda, per riprendere tutto con il telefonino e postarlo in rete. La ragazzina aveva tre profili su Facebook e almeno due su TikTok>. «Siamo a disposizione delle autorità competenti per collaborare alle loro indagini» ha spiegato in serata un portavoce di TikTok. Quando i medici hanno dichiarato la morte cerebrale, i genitori della bambina hanno acconsentito all’espianto degli organi.
Un mondo sommerso
La sfida, che punta a dimostrare quanto si è in grado di resistere senza ossigeno, circola in rete da parecchio tempo: una vera e propria "trappola" piuttosto "ambita" da adolescenti impazienti di far conoscere a tutti il proprio coraggio, desiderosi di farsi notare e guadagnare follower, raggiungendo quel senso di euforia che si proverebbe poco prima del black out. Una pura menzogna, smentita convintamente da tutti i medici, ma che continua a essere rimbalzata sul web e a trovare sostenitori, evidentemente sempre più giovani.
Le vittime? Sono i più giovani
«Stiamo assistendo a una generale precocizzazione dei comportamenti – spiega lo psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini, presidente della Fondazione Minotauro di Milano – e oggi i bambini sono iperstimolati. Abbiamo chiuso i giardini, i cortili, convinti di tenere al sicuro i più giovani, ma la crescita implica sempre dei rischi: i pericoli che erano sulla strada si sono così trasferiti sulla rete. In misura ancora maggiore oggi, dopo mesi di lockdown. Il computer o il telefonino non vengono considerati come realtà virtuale, ma come vera e propria vita reale. Così sul web gli adolescenti portano oggi tutte le manifestazioni di sé, comprese le espressioni di disagio. C’è la ricerca di visibilità, lo sforzo per essere popolare e la fatica per restare sempre in primo piano e alla moda. E bisogna aggiungere anche il desiderio di essere vincenti per non deludere i genitori».
Quelle sfide nascoste
La blackout challenge non è certo l’unica sfida presente sui social network. Non troppo tempo fa genitori ed educatori parlavano con apprensione della "Skullbreaker challenge", nella quale si provoca la violenta caduta di schiena dell’amico o del compagno di scuola con uno sgambetto. «La soluzione – conclude Lancini – non è arrivare ad oscurare la rete. Mentre tutto il mondo è online, non si può pensare di escludere i ragazzi, eliminando Internet dalla scuola o dalla loro vita. Anzi, è bene che, anche alla luce di quello che abbiamo imparato in questo periodo, sia possibile accedere a una scuola connessa 24 ore al giorno, ben integrata. Il punto resta la capacità di proporre una reale educazione a questo mondo, magari anche anticipata alle medie. La censura non serve: è molto più importante che i ragazzi arrivino a una reale saggezza digitale». Sulla vicenda sono state aperte due inchieste.