venerdì 8 aprile 2022
Al generale Casarsa cinque anni. L’Arma: «Profondo dolore» per un verdetto che «accerta condotte lontane dai nostri valori e principi»
Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, all'esterno della Procura di Roma in un'immagine d'archivio

Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, all'esterno della Procura di Roma in un'immagine d'archivio - Ansa

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Lei, Ilaria Cucchi, si dice «sotto choc. Non credevo sarebbe mai arrivato questo giorno. Anni e anni della nostra vita sono stati distrutti, ma oggi ci siamo. E le persone che ne sono stati la causa, i responsabili, sono stati sono stati condannati», dice, subito. È appena finito il primo grado del processo sui depistaggi dopo la morte del fratello Stefano, le tesi dell’accusa sono state accolte e il giudice Nespeca, dopo otto ore di camera di consiglio, ha condannato tutti gli imputati.

A 5 anni il generale Alessandro Casarsa (il pm ne aveva chiesti 7, la pena più alta). Ha condannato a 4 anni di reclusione Francesco Cavallo, all’epoca dei fatti capufficio del comando del Gruppo carabinieri Roma (l’accusa aveva chiesto 5 anni e mezzo). A 4 anni Luciano Soligo, ex comandante della compagnia Talenti Montesacro (anziché 5). A 2 anni e mezzo il carabiniere Luca De Ciani (per il quale erano stati chiesti 5 anni. A 1 anno e 9 mesi Tiziano Testarmata, ex comandante della quarta sezione del nucleo investigativo (invece dei 4 anni chiesti dalla Procura). A 1 anno e 3 mesi al carabiniere Francesco Di Sano (3 anni e 3 mesi chiesti dal pm) e stessa pena anche per Lorenzo Sabatino, allora comandante del reparto operativo dei carabinieri di Roma (per il quale erano stati chiesti 3 anni). A 1 anno e 9 mesi Massimiliano Labriola Colombo, ex comandante della stazione di Tor Sapienza (8 mesi più di quanto chiesto dal pm). Le accuse agli otto carabinieri, a seconda delle posizioni, andavano dal falso al favoreggiamento, dall’omessa denuncia alla calunnia.

Una sentenza arrivata dopo 13 anni e 15 processi. E dopo qualche giorno dalla sentenza della Cassazione che ha definitivamente condannato a 12 anni di reclusione gli autori del pestaggio nella caserma della compagnia Casilina, che uccise Stefano Cucchi, il 31enne geometra morto il 22 ottobre del 2009. Dopo quella che il pm nella sua requisitoria aveva definito «un’attività di depistaggio ostinata, a tratti ossessiva, durata anni».

La sentenza «riacuisce il profondo dolore dell’Arma per la perdita di una giovane vita – fa sapere il comando generale dei carabinieri –. Ai familiari rinnoviamo tutta la nostra vicinanza. La sentenza, seppur di primo grado, accerta condotte lontane dai valori e dai principi dell’Arma». Ribadendo «il fermo e assoluto impegno» ad agire sempre «con rigore e trasparenza».

«È stato confermato che l’anima nera del caso Cucchi è il generale Casarsa», dice l’avvocato Fabio Anselmo, legale di Ilaria Cucchi: «Il dato di verità è che tutto quello che hanno scritto su Stefano Cucchi "tossicodipendente, anoressico, sieropositivo"» e che «ha ucciso lentamente Rita Calore e Giovanni Cucchi (i genitori di Stefano, ndr) e hanno logorato la vita di Ilaria, è falso, studiato a tavolino». Carlo Longari, avvocato del generale, spiega che «Casarsa ha affrontato il processo con serenità, le sentenze si rispettano e non si commentano. Adesso aspettiamo le motivazioni». Commenta invece l’avvocato di Sabatino, Adolfo Scalfati: «Non ce lo aspettavamo, riteniamo questa sentenza sia un errore giudiziario».




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