La viceministra degli Esteri Del Re, alla scuola italiana dell’Asmara
Docente universitario, viceministro degli esteri con delega alla cooperazione e all’Africa con un passato sul campo nella cooperazione, Emanuela Del Re ha colto subito le potenzialità della pace storica tra Etiopia ed Eritrea e gli eventi che hanno portato a un cambio del clima politico nel Corno d’Africa. Dopo l’Asmara, visitata dal 3 al 6 dicembre ha proseguito la missione ad Addis Abeba e a Gibuti fino a ieri.
Che ruolo vuole svolgere l’Italia in Eritrea? Si sta assumendo una responsabilità importante di fronte a un Paese lontano che riconosce di avere con noi un cammino comune e un rapporto unico. Abbiamo molto in comune considerando che in Italia vive una diaspora importante. Parte della loro classe dirigente ha studiato in Italia, ci sono imprenditori che hanno impiantato attività e qui c’è la più grande scuola italiana all’estero con circa 1250 alunni. È la prova della grande fiducia posta dagli eritrei negli italiani affidandoci i loro figli dalla più tenera età perché crescano con i nostri valori che sono evidentemente condivisi.
Come è andata la missione dal punto di vista imprenditoriale? Abbiamo tenuto un approccio olistico per affrontare insieme problemi ed opportunità. L’aspetto imprenditoriale è strategico perché muove l’economia. Piccola e media impresa e investimenti stranieri diretti sono preziosi catalizzatori per favorire lo sviluppo dell’Eritrea che si sta aprendo al mondo dopo il processo di pace. Occorre lavorare con gli eritrei, puntare a sviluppare il mercato utilizzando le risorse sul territorio.
Cosa chiede il governo asmarino all’Italia? In una lunga e franca conversazione il presidente Afewerki improntata sull’idea di far camminare insieme i nostri paesi e basata sul concetto di sviluppo condiviso, ci ha chiesto diverse cose. Al Paese servono infrastrutture e investimenti ad esempio nei porti, nelle strade, nelle ferrovie e nel settore agricolo che va riportato ai fasti del passato. L’Eritrea dal punto di vista economico vuole collocarsi su un versante di qualità e qui possiamo offrire molto anche sul versante dell’innovazione. Ritengo giusta questa ambizione.
Come possiamo contribuire alla crescita culturale? Ampliando la scuola con corsi ad esempio di formazione professionale. Su questo fronte l’Italia, terzo investitore in Africa, può fare molto con la cooperazione. L’Eritrea sta elaborando un documento con richieste precise, noi pensiamo a scambi costanti con tecnici. Ho proposto di inviare una squadra tecnica a visitarci per una presentazione del Paese anche agli imprenditori. Servono lealtà e fiducia reciproca, questa apertura guarda al futuro con benefici per entrambi.
Si è parlato della smobilitazione dal servizio civile illimitato? L’Italia sta portando avanti una serie di azioni per permettere cambiamenti. Per quanto la comunità internazionale faccia giustamente richieste molto ferme, i Paesi hanno diritto di prendersi del tempo per affrontare i problemi. C’è una grande riflessione in atto, è un momento bellissimo, di grande fermento. La classe politica sa cosa fare per tornare sul piano globale, diamogli tempo e fiducia. Abbiamo già visto un cambiamento con la pace con l’Etiopa, per noi è l’inizio di un processo che ha bisogno di fasi. Chiediamo, insomma, ma siamo rispettosi
Si amplierà la scuola italiana? Il nostfo metodo era ascoltare le richieste. Ci è stato domandato di ampliare l’offerta formativa con il liceo linguistico, il governo chiede professionalizzazione perché, in vista della smobilitazione, dovrà rispondere a una forte domanda di impiego. Quindi andremo in questa direzione. Se si amplia l’offerta formativa con uno sforzo finanziario italiano, una disponibilità ad ampliare gli spazi da parte eritrea sarà la benvenuta. Con il dialogo e la conoscenza delle competenze dei soggetti credo che riusciremo a reinserire nel paese anche le ong. La cooperazione è un elemento portante della politca estera nazionale ed europee per esempio in Africa.
Che ruolo vuole giocare l’Italia nel Corno? Occorre riconoscere l’integrazione regionale e il desiderio degli altri Paesi di aiutare la Somalia. L’Italia ha cancellato il suo debito di 600 milioni e a febbraio si laureano i giovani somali che abbiamo dotato di borse di studio italiane. I nostri concorrenti nella regione sono cinesi e sauditi che vogliono superarci in velocità, noi vogliamo invece accompagnare i processi.