«Bullo cambia che sei bello». Pensieri, slogan, disegni, persino un rap per raccontare il bullismo visto dai bambini e dai ragazzi. Come spettatori, o anche come vittime di piccole e grandi angherie di tutti i giorni da parte di qualche compagno di classe. Le loro idee sono state raccolte dallo staff dell'ospedale pediatrico Bambino Gesù e pubblicate oggi quando, in concomitanza con la Giornata mondiale per la sicurezza in Rete, si tiene la prima Giornata nazionale contro il bullismo e il cyber bullismo a scuola, un’iniziativa lanciata dal Ministero dell’Istruzione. Il bullismo è un fenomeno in espansione che coinvolge sempre più bambini tra i 7 e i 10 anni e ragazzi tra i 14 e i 17 anni.
«I miei compagni mi prendono in giro perché non parlo bene; ho fatto tre interventi da quando sono piccolo» scrive un bambino preso di mira a causa della sua malattia.
Leo, 9 anni, racconta di aver detto tutto ai genitori. Sono diminuiti gli attacchi fisici, ma non quelli verbali.
Bullizzare significa anche condizionare la vita quotidiana di qualcuno. Spegnere il suo entusiasmo per la scuola o per un'attività extrascolastica. I cosiddetti momenti di aggregazione. Matteo racconta: «Quando facevo la scuola calcio alcuni compagni mi prendevano in giro, perché non so giocare tanto bene. Se cadevo mi prendevano in giro, e poi non mi passavano mai la palla. Mi hanno detto pure brutte parole. Io non ci sono voluto più andare a scuola calcio»
Fiorella, 11 anni, ricorda che alle elementari veniva «presa in giro dai ragazzi più piccoli solo perché avevo una malattia e molto spesso venivo ricoverata. Molti dicevano ‘stammi lontano perché sei contagiosa’ e appena tossivo facevano brutte facce. Io sapevo cosa voleva dire soffrire. Mai deridere gli altri senza sapere di cosa soffrono».
Martina è fiera di non essere bulla: «rispetto gli altri – scrive – e sono pronta a difendere chi è in difficoltà». Sara, invece, confessa di essere stata bulla per un periodo della sua vita: «io e altre due mie amiche ci divertivamo a prendere in giro le ragazze più deboli. Lo facevamo per essere fighe agli occhi dei ragazzi. Ma poi, dopo l’esperienza in ospedale, ho capito che per essere fighe ci vogliono ben altre cose come il rispetto, la generosità».
«Per combattere il bullismo - sottolinea Paola Tabarini, psicologa del Bambino Gesù – è fondamentale la prevenzione e il lavoro di gruppo. Non l’isolamento del bullo, ma la sua reintegrazione, attraverso l’osservazione – anche di uno specialista – degli atteggiamenti delle persone che appartengono a quel gruppo. Per prevenire è necessario partire dagli adulti. La prima azione utile per iniziare ad individuare il problema è lo sguardo attento degli insegnati su tutti i ragazzi e sulle dinamiche del loro sistema di relazione. Dinamiche che possono essere trasformate lavorando col gruppo: non serve escludere, isolare, portare fuori il bullo. Così come nasce nel gruppo, si può “curare” attraverso il gruppo stesso».
Disegni, lettere e slogan sono stati pubblicati dal Bambino Gesù anche su Facebook, Twitter e Instragram
Uno dei ragazzi ha scritto il «Rap dello sfigato no». «I compagni mi hanno massacrato, non mi vesto tutto firmato... non ho il cellulare ultima moda, neanche il motorino che inchioda... Io mi sento emarginato da questi ragazzi che pensano solo all'apparenza, ma non hanno sentimenti di appartenenza. Io ho una famiglia che mi ama e non m'interessa la fama. I miei genitori si spaccano la schiena e quello che mi danno mi rende la vita piena d'amore e non d'ipocrisia. Non cambierei per nulla questa vita mia». No al bullismo: può diventare il prossimo tormentone rap?