L'ospedale Regina Margherita a Torino (Ansa)
«Ho lanciato il mio bambino, appena partorito, dal balcone di casa». Eccolo, l'orrore incomprensibile che s'è sentito confessare il
procuratore capo di Ivrea, Giuseppe Ferrando, dalla donna di 34 anni, italiana, madre del neonato il cui corpicino è stato trovato lunedì mattina, abbandonato sull'asfalto di Settimo Torinese, e che è morto poco dopo in ospedale. La donna è crollata nella notte, dopo che era stata fermata dai carabinieri della compagnia di Chivasso.
«Dall'interrogatorio è emersa un'apparente normalità e tranquillità della donna che dopo aver partorito, all'alba di ieri come lei stessa ha ammesso, si fosse sbarazzata del bambino e poi abbia accompagnato l'altra figlia all'asilo» ha spiegato lo stesso procuratore, durante la conferenza stampa indetta stamane. Di più, «dopo l'interrogatorio pensava di tornare a casa» ha aggiunto il magistrato, che ne ha disposto il fermo. La donna si sarebbe persino sporta dal balcone, dopo l'accaduto, per guardare quello che stava accadendo in strada e alle maestre e ai genitori dell'asilo della figlia avrebbe detto d'essere «sconvolta» per la tragedia di quel neonato.
Il corpicino sulla strada: «Ma perché?»
«Perché farlo morire? Io me lo sarei anche adottato». Il netturbino che ha trovato il piccolo non si da pace. Un ragazzo lo aveva avvisato, quasi distrattamente, e lui era andato a controllare, senza neppure crederci troppo. E invece, sul ciglio della strada, il bimbo c’era davvero: un maschietto nato da poche ore, con ancora il cordone ombelicale e una ferita impressionante sulla testolina. Di carnagione chiara, semplicemente avvolto in un asciugamano. I soccorsi, allertati dall’uomo, sono arrivati subito dopo e l’ambulanza l’ha trasportato immediatamente all’ospedale Regina Margherita di Torino. Troppo tardi.
La città è sotto choc, ci si chiede chi possa avere commesso un gesto tanto crudele. Qualcuno ipotizza che il bimbo sia stato gettato fuori dal finestrino di un’auto passata nella via, ma non ci sono testimoni oculari. Un’altra ipotesi al vaglio dei carabinieri, poi confermata, è che il piccolo sia stato gettato da una finestra. Oggi sarà effettuata l’autopsia richiesta dal magistrato e in queste ore i carabinieri della Compagnia di Chivasso stanno indagando, per ricostruire l'accaduto.
A un chilometro più in là la “Culla per la vita”
Una tragedia comunque evitabile, se solo i responsabili dell’abbandono fossero passati qualche chilometro più in là e si fossero fermati davanti alla “Culla per la vita” di Torino: un cassetto termico e ventilato, collegato 24 ore al giorno ai soccorsi e in grado di garantire la sopravvivenza al bambino nonché l’anonimato alla madre che lo stava lasciando. «Un fatto terribile – commenta il presidente del Movimento per la vita di Torino, Valter Boero – proprio nella città dove ha sede il centralino del numero verde nazionale SOS Vita. Senza contare anche il nostro numero locale di emergenza, creato proprio per poter essere sempre vicini ai genitori in difficoltà. Se questa mamma ci avesse contattato, saremmo intervenuti immediatamente. Avremmo potuto aiutarla, dimostrandole che c’è una soluzione per qualsiasi problema pratico».
Ai volontari infatti si rivolgono ogni anno 2.400 donne di Torino e provincia, circa un decimo delle quali sta per prendere decisioni drammatiche: «Le nostre porte sono aperte a chiunque. Spesso sono donne disperate che cercano ascolto». Un servizio che però non viene quasi mai riconosciuto: «Purtroppo – conclude Boero – anche a Torino c’è completo disinteresse da parte delle istituzioni, a livello regionale e comunale. Dovrebbero metterci nelle condizioni di aiutare maggiormente le mamme o, almeno, di contribuire a diffondere e far capire la nostra attività. Sulla maternità dovrebbero convergere le attenzioni di tutti, ma la nostra società pare che ci voglia portare da tutt’altra parte».
«Serve più informazione per le donne»
La necessità di una corretta informazione e comunicazione sul tema non vale solo per il Piemonte, è una questione di rilevanza nazionale. Pochi giorni fa un caso non troppo diverso da quello torinese è avvenuto a Trieste. E si teme non siano gli ultimi. «L’Italia ha una delle migliori leggi al mondo per il parto in anonimato all’interno dell’ospedale. Nel tempo è stata anche messa in piedi la rete nazionale di "Culle per la vita". Eppure dobbiamo registrare una dolorosa e tragica sequenza di neonati abbandonati, che solo talvolta e casualmente sono sottratti alla morte», afferma il deputato Gian Luigi Gigli, presidente nazionale del Movimento per la vita.
«Non è infatti pensabile che gli strumenti siano necessariamente noti alle gestanti in difficoltà, soprattutto se hanno problemi di lingua o vivono in situazioni di povertà economica o culturale. Occorre una capillare campagna di informazione, in particolare verso questo target. Chiediamo al governo di mettere a disposizione lo strumento radiotelevisivo per una campagna di Pubblicità Progresso e alle Regioni di diffondere adeguatamente queste informazioni negli ospedali, nei consultori e nelle strutture assistenziali, declinandole nelle varie lingue straniere».