Un migrante tra le baracche
Baracche, centinaia di baracche. Di legno, plastica, cartone. Tenute assieme da corde ma anche da pannelli di eternit. Perché i migranti africani non sanno che è mortale. E poi cosa vuoi che sia una latenza del tumore di decenni di fronte a vite già così segnate. È anche questo la tendopoli di San Ferdinando, quest’anno ormai più baraccopoli di sempre. Con le vecchie e scassatissime tende della Protezione civile affogate in un mare di baracche. Messe quasi cinque anni anni fa per ospitare 400 persone. Ora ci vivono circa mille lavoratori africani, ma presto ne arriveranno altre centinaia, attirati, illusi, dal lavoro negli agrumeti della Piana di Gioia Tauro. Per loro sono già pronte decine di baracche e addirittura terreni picchettati, prenotati, per costruirne altre. Ed è questa la novità che notiamo subito girando in questo intrico di tuguri, tra mucchi di rifiuti, enormi ratti, pecore e galline che scorrazzano tra l’immondizia: il commercio delle baracche.
Ce ne sono di enormi, divise in stanzette. Saranno affittate. Ci ricordano i ghetti del Foggiano. Lo chiediamo a un immigrato che ne sta costruendo una di legno. «Sì, è come a Foggia, sono stato lì e ho imparato », risponde. Qui tra Rosarno e gli altri paesi non era mai successo. Come ci conferma don Roberto Meduri, il giovane parroco del Bosco di Rosarno, uno dei pochi che ancora aiuta i migranti, assistendoli nelle pratiche sanitarie o per il permesso di soggiorno, offrendo viveri e vestiario. Ma anche un sorriso o una parola di conforto. «Servono coperte, sacchi a pelo, materassi, ma diversamente dagli altri anni non ce li hanno mandati», denuncia. Già perché quest’anno i migranti sembrano ancora più dimenticati. La nuova tendopoli, un bel progetto finalmente umano e efficiente, doveva essere pronta per novembre e invece è tutto fermo tra ritardi, intoppi e scelte incomprensibili. Così sono cresciute a dismisura le baracche. C’è anche chi ne ha costruita una per i box doccia. Una decina in legno. «Docce a pagamento? », gli chiediamo. «Solo l’acqua calda: 50 centesimi».
Si prende il secchio con l’acqua scaldata sul fuoco a legna, si entra nel box e ci si lava. Certo ci sarebbero le docce nei container della tendopoli, ma fredde e pochissime. Ci si arrangia nel ghetto, tutto si paga, anche se poco. In previsione della nuova tendopoli, quel minimo di gestione e controlli è praticamente scomparso. Lo si capisce dall’altra novità negativa. È la 'baracca bordello'. Nella tendopoli fino all’anno scorso c’erano solo 2-3 donne, ora sono decine. Molte le prostitute che 'esercitano' per strada ma anche nella grande baracca, divisa in stanze e perfino col 'salottino' con poltrone e divano. Protettori? Non si vedono, ma ci sono. È l’ennesimo segnale di un degrado in crescita.
E la coabitazione diventa difficile. Così mentre seguiamo don Roberto, assistiamo a una mezza rissa tra migranti. Il motivo è lo spazio per una baracca rivendicato da due di loro. Solo l’intervento del parroco riesce a mettere pace. Ma potrebbe accadere di nuovo, visto che da un giorno con l’altro abbiamo contato almeno venti baracche nuove e lo spazio disponibile è sempre meno. Eppure proprio di fronte, a un centinaio di metri, doveva nascere la nuova tendopoli. Ma c’è solo la recinzione in new jersey, qualche canaletta di scolo e del terriccio misto a rifiuti. Tutto fermo, con la procura di Reggio Calabria che ha messo gli occhi su questa vicenda dopo la denuncia del responsabile della Protezione civile regionale e gli articoli di Avvenire di un mese e mezzo fa. Almeno per ora circa 300mila euro, stanziati dalla Regione, spesi inutilmente.
E intanto la baraccopoli cresce e con essa i rischi di tensione con la popolazione locale. La frase che senti più ripetere è «prima gli italiani e poi gli africani». Pesano i 440 posti di lavoro a rischio nel porto di Gioia Tauro, ma c’è anche chi soffia sul fuoco, sperando di incassare consenso (tra l’altro domenica si vota a San Ferdinando, dopo due anni di commissariamento per infiltrazione mafiosa). Un segnale evidente è stato 20 giorni fa l’occupazione, da parte di 12 famiglie rosarnesi, del Villaggio della solidarietà, costruito nell’area della Betom Medma, ex cementificio confiscato alla cosca Bellocco, costato quasi 2 milioni di euro, finanziati dal Pon Sicurezza del Viminale. Doveva ospitare un centro di formazione lavoro per migranti, con 60 posti letto, ma i lavori sono fermi da anni dopo l’interdittiva antimafia che ha raggiunto l’impresa che li stava realizzando.
È stato così vandalizzato, portati via infissi, cavi elettrici, condizionatori e perfino parti del tetto in metallo. Il 19 marzo l’occupazione della famiglie che hanno messo degli striscioni con le scritte 'Villaggio Italia', 'Prima i rosarnesi', 'Casa è un diritto di tutti'. Altra vicenda su cui la magistratura si sta muovendo. Così tre giorni fa il sindaco di Rosarno, Giuseppe Idà, ha fir- mato un ordinanza di «sgombero immediato», dando 60 giorni di tempo agli occupanti. Ma lo spreco non si ferma qui. Il 9 gennaio, in contrada 'Donna Livia' di Taurianova, altro paese della Piana, viene inaugurato il Centro polifunzionale per l’inserimento sociale lavorativo degli immigrati. Costato circa 650mila euro (anche qui fondi del Pon Sicurezza), non è mai entrato in funzione. L’erba cresce attorno alla struttura. Mentre nella tendopoli crescono baracche, degrado, tensione.