Domenico Paviglianiti - Archivio Ansa
Seimila euro in contanti, sei telefoni cellulari e documenti falsi con un’identità portoghese. Tutto in un borsello che
Domenico Paviglianiti portava con sé mentre si muoveva tranquillo nelle strade di Madrid (dove era stato catturato nel 1996), poco lontano dalla casa in cui viveva.
Solo geograficamente lontano dalla Calabria, da Reggio come da San Lorenzo, Bagaladi e Condofuri che sono i cuori pulsanti del suo potere criminale. Sessanta primavere, Paviglianiti negli anni ’80 e ’90 era considerato "il boss dei boss".
È stato ammanettato martedì nella capitale iberica da polizia spagnola, Udyco central e dai carabinieri del nucleo Investigativo del comando provinciale di Bologna, coordinati dal procuratore felsineo Giuseppe Amato e dai suoi sostituti Roberto Ceroni e Michele Martorelli, in collaborazione con Eurojust e il Servizio di cooperazione internazionale di polizia. Gli è stato notificato un provvedimento di esecuzione di pene concorrenti per 11 anni, 8 mesi e 15 giorni, emesso lo scorso 21 gennaio dalla procura di Bologna per associazione mafiosa, omicidio e associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Paviglianiti, rimesso in libertà nell’ottobre 2019 per un erroneo calcolo della pena, non aveva perso tempo lasciando l’Italia e facendo perdere le sue tracce. Sino a martedì, quando la passeggiata sotto il caldo sole madrileno è stata interrotta dal blitz internazionale.
Pur mantenendo la base tra San Lorenzo, Bagaladi e Condofuri, nella provincia di Reggio Calabria, il sodalizio criminale di cui il sessantenne è considerato un elemento apicale, ha ramificazioni nel Nord Italia, in particolare in Lombardia, e nel Sud America, che è da sempre uno snodo strategico per la gestione del traffico internazionale di stupefacenti. Paviglianiti era stato condannato all’ergastolo (pena in seguito sostituita con la reclusione per 30 anni) per una serie di omicidi commessi a partire dagli anni ’80, oltre che per associazione mafiosa e reati di droga.
Dialogando con i cronisti, i carabinieri hanno spiegato che avrebbe avuto un ruolo di prim’ordine nel corso della cosiddetta seconda guerra di mafia, quando, assieme ad altre cosche reggine, appoggiò il clan De Stefano nella sanguinosa faida con i Condello che inzuppò di sangue le strade della città dello Stretto come del resto della provincia. Forze dell’ordine e magistrati lavorano a ricostruire la rete che lo ha accolto e protetto in Spagna, ed eventualmente anche altrove, permettendogli i quasi due anni di latitanza. Quando è stato fermato era solo ma ci sono accertamenti su una donna sudamericana che è stata notata al suo fianco nei giorni precedenti all’arresto. Gli investigatori stanno anche approfondendo le relazioni di Paviglianiti, così da verificare se avesse ripreso la sua redditizia attività di broker internazionale della droga sull’asse Europa-Sud America. I carabinieri sono arrivati a Madrid seguendo le tracce dei familiari, organizzando pedinamenti e appostamenti che sono durati mesi ma che hanno portato all’individuazione prima e all’arresto poi del "boss dei boss".