Già da un po' di tempo non lo si incontrava più, per le strade del rione Prati, due passi dal Vaticano, sotto braccio alla moglie nelle sue quotidiane, lunghe passeggiate. E l'altro ieri Renato Buzzonetti, colui con il quale il termine «medico del Papa» entrato nel lessico comune, se n'è andato, con la discrezione di sempre. In silenzio.
Alto, austero, pochissimo loquace, Buzzonetti, classe 1924, è stato medico di quattro Papi, da Paolo VI a Benedetto XVI, passando per Albino Luciani e, soprattutto, per Giovanni Paolo II, al quale era stato accanto lungo tutto il suo lunghissimo pontificato.
Quasi la sua ombra, immortalato in centinaia di migliaia di fotografie sempre un passo indietro a Wojtyla, le mani dietro la schiena in un incedere assolutamente caratteristico, attentissimo. Era sulla Campagnola in piazza San Pietro quando Giovanni Paolo II fu raggiunto dai colpi di Ali Agca, e comprese in un secondo le gravità delle ferite ordinando l'immediata corsa all'ospedale, senza neppure passare per l’infermeria di Santa Marta; presente sempre durante tutti gli interventi chirurgici subiti dal Pontefice, in tutti i viaggi, durante le vacanze in Val d'Aosta è in Cadore, e fino all'ultimo giorno.
Impossibile raccoglierne una confidenza, figuriamoci estorcergli un'indiscrezione. Il massimo che poteva concedere, ma doveva conoscerti proprio bene, erano due parole scambiate al volo. Un caffè, mai. Del suo più illustre paziente avrebbe raccontato solo nel 2005, dopo la morte di Wojtyla, descrivendolo come sempre desideroso di capire bene le proprie condizioni, consapevole, sereno e mai però morboso, né pauroso, docile nel seguire i consigli e scrupoloso. Anche se, in realtà, non sempre le cose
erano andate così, come in quel 1996 annus horribilis quando, al di là di ogni logica, Giovanni Paolo II decise di rimandare oltre ogni limite l'operazione di appendicite perché non voleva annullare nessuno dei suoi viaggi in agenda, e quasi costringendo il buon dottor Renato alle alchimie più incredibili per mantenerlo in forma. Ma, a raccontare tutto questo, non era stato lui. Ovviamente.
Legato a Buzzonetti da un rapporto di vero affetto, Giovanni Paolo II aveva creato apposta per lui la carica di archiatra
pontificio, che più o meno significa «primo medico del Papa», diventato emerito, cioè ex, solo nel 2009 quando, a 84 anni, era andato finalmente in pensione. Una carica prestigiosa, che tuttavia sottintendeva quello che, alla fine, è stato il lavoro più nascosto, ma più importante, svolto da Buzzonetti nei suoi oltre 30 anni in Vaticano: e cioè traghettare la gestione di un paziente tanto particolare come può essere solo un Papa sulla sponda della medicina moderna.
Dove il lavoro d'equipe è assolutamente essenziale, dove l'idea di ricoverare un Pontefice in un ospedale pubblico non
è più una missione impossibile ma un'eventualità da considerare ordinaria, dove il medico personale non può non fare a meno di calarsi in una dimensione di multidisciplinarietà, come ormai è logico è indispensabile, da ordinare e coordinare, e spiegando, suggerendo, consigliando il paziente su che cosa sia meglio per lui.
Tutto questo Buzzonetti l'ha fatto con pazienza e abnegazione, senza mai presentarsi sul proscenio né chiedere, direttamente o indirettamente, applausi. Non era il suo stile, non era il suo carattere. Non era quello che cercava né, tantomeno, inseguiva. E oggi, camicia a scacchi, pantaloni alla zuava e pedule come in Val d’Aosta e in Cadore, starà passeggiando col suo amico Karol, chiacchierando del più e del meno. Dove eravamo rimasti?