Sono le 21.30, è sera, e sotto la pensilina centrale della stazione Garibaldi sosta un capannello di clochard di ogni età pronto a ricevere dai volontari della “Ronda della Carità e Solidarietà Onlus”: chi un pasto caldo, un panino, un “cestino di frutta e formaggi” (in particolare mandarini) o una tazza di thé.
Comincia così il primo viaggio del 2015 dell’unità mobile (un comodo e super attrezzato camper) tra le vie della città. «Aumentano le chiamate, causa anche il freddo pungente – racconta Roberto, volontario della “Ronda”– che ci arrivano dal Centro di aiuto della stazione Centrale, il “Casc”. Il campanello d’allarme del freddo è confermato da un fatto: aumentano le richieste di coperte e di sacchi a pelo da parte dei nostri utenti». A colpire di quel capannello di persone, molte delle quali destinate poi a coricarsi con un sacco a pelo tra le pensiline o tra le rastrelliere delle biciclette, sono i volti orientali. «Molti di loro – spiega un altro volontario Giuliano – sono cinesi che divenuti “inservibili” per il circuito produttivo dei loro connazionali vengono buttati sulla strada».
Il percorso degli uomini della “Ronda” (tutti volontari e con alle spalle curriculum professionali di ogni tipo che vanno dal welfare al management) toccherà i punti strategici ma anche anonimi della città dove spesso la colonnina di mercurio scende spesso sotto lo zero: dal velodromo Vigorelli a piazza VI Febbraio, dalla Triennale al parco Sempione, dalla stazione Cadorna alla centralissima piazza Diaz fino al mezzanino sotto la Centrale, aperto dall’altra sera, per accogliere al caldo i senza dimora.
Un viaggio a bordo del camper che – per quattro volte alla settimana (lunedì, martedì, mercoledì e venerdì) – cerca di lambire, con la sua rete di sostegno e di ascolto, tutte le latitudini e gli angoli meno battuti della città. Le storie come le richieste di chi bussa al portellone dell’unità mobile hanno un profilo comune: la solitudine, lo scherno di chi si sente rifiutato e non considerato («oramai avete più a cuore i profughi siriani di noi...»), la cronicità di trovarsi su una panchina e non sapere più il perché di questa scelta ma anche la voglia di non lasciare la strada per problemi di alcool o psichiatrici, per la perdita di un lavoro o semplicemente perché si è un papà o addirittura un nonno separato o un «fratello che non ha la forza di ripresentarsi a casa da suo fratello» come confida Domenico, clochard del binario 21 della stazione Garibaldi. O ancora un immigrato senza permesso di soggiorno e a volte senza uno straccio di futuro.
Sotto una flebile luce di un lampione alimentato al neon avvolti tra i cartoni, non distante dalla sede della Triennale di via Alemagna, riposano due salvadoregni. A loro viene offerto dai volontari della “Ronda” una tazza di thé caldo e un kit di alimenti (molti dei quali regalati da donatori anonimi e dal Banco Alimentare) ma anche viene indirizzata una domanda: «Perché non venite a dormire al caldo al mezzanino della Centrale e vi fate curare?». Ma la risposta dei due sudamericani è ferma e netta (come sarà nel corso della serata per tutti gli altri homeless: «Vacci tu. Chi ce lo fa fare di andare lì. Non vogliamo essere controllati e schedati». Una resistenza a non scegliere il sottopasso della Centrale che viene confermata, pochi chilometri dopo, da una coppia di napoletani in piazza VI Febbraio: «Stiamo meglio qui a dormire sulle nostre panchine. E poi a sera tardi quando il locale cinese chiude ci possiamo mettere a riposare vicino a quella tettoia e prendere il caldo che proviene dalle stufe spente del ristorante...».
Un viaggio quello del camper che tocca idealmente le vite spezzate di queste persone come il caso di un giovanissimo di Solaro il 19enne Mirko, appollaiato sotto i portici adiacenti il museo del Novecento, che preferisce la strada al ritorno a casa e non vuole l’aiuto di una comunità di recupero. «Il dramma di queste persone – racconta la volontaria Elena – è quella della cronicità e di scegliere la via dell’alcool a volte anche come ultimo espediente per riscaldarsi dal freddo....un gesto estremo anche per mettere alle spalle tanti problemi».
Neppure il freddo, però, riesce a far vincere a molti di loro il rifiuto del centro di accoglienza notturno. Un rifiuto vissuto spesse volte come un “no” alle regole e a una disciplina comunitaria. «Preferiscono “riposare” al freddo tra i cartoni – spiega il volontario Roberto – che finire in un dormitorio perché hanno paura delle regole, di essere derubati. E di trovarsi, a volte, in mezzo a delle risse. E soprattutto sono individui fragili, con un forte senso di disadattamento abituati a non avere regole». Una scelta quella della vita in strada al freddo preferita a un giaciglio caldo che trova conferma nello scarno numero di presenze (in maggioranza immigrati) sotto il mezzanino della Centrale (con le sue oltre 130 brandine della Protezione Civile).
«Siamo pronti ad accogliere qualsiasi persona – allarga le braccia una delle responsabili del mezzanino la signora Ina – ma non vengono perché c’è troppa trafila burocratica e troppi filtri d’ingresso e hanno paura di essere censiti dal “Casc” della Centrale». Ha il volto soddisfatto, chiudendo il report della corsa notturna dell’unità mobile, Elena: «Abbiamo consegnato tutti i viveri e tutte le coperte. Un segno e un piccolo indizio che questa continua ad essere un’emergenza da non dimenticare per la nostra città».