Giorgia Meloni - ANSA
Non inganni il basso profilo del post istituzionale di Giorgia Meloni (che poteva tornare buono anche per Kamala Harris). La premier non ha nessuna intenzione di "normalizzare" la vittoria di Trump e in serata strappa il suo personale trofeo: un colloquio telefonico con il presidente eletto per «confermare la solida alleanza, il partenariato strategico e la profonda e storica amicizia che da sempre legano Roma e Washington», si legge in una nota di Palazzo Chigi. Nel corso della telefonata, i due leader «hanno espresso la volontà di lavorare in stretto coordinamento su tutti i principali dossier internazionali, a partire dalla guerra in Ucraina e dalla crisi in Medio Oriente, con l'obiettivo comune di promuovere stabilità e sicurezza, anche nel quadro dei rapporti con l’Unione europea - prosegue la nota -. In conclusione, hanno affermato l’intenzione di proseguire il percorso di rafforzamento delle già eccellenti relazioni bilaterali, fondate su valori e principi condivisi, concordando sull’opportunità di mantenersi in stretto contatto».
Il lessico istituzionale non aiuta però a capire fino in fondo le ultime ore della presidente del Consiglio. Se si vuole indagare l'umore dentro il suo partito, FdI, bisogna andare a rintracciare i profili social del responsabile organizzativo del partito, Giovanni Donzelli: «I soliti sinistri - scrive di buon mattina postando il libro su Trump dell'ex ministro Sangiuliano -, speravano di trovare negli Usa la rivincita per le sconfitte subite in Italia. Hanno perso pure quelle...». È nei fatti l'inizio di una nuova fase politica per la premier e per il partito che presiede, e di conseguenza per il governo. Una sorta di adattamento progressivo al nuovo scenario, che la presidente del Consiglio aveva già preparato, e che è fatto di tappe graduali.
Atto primo, valorizzare e capitalizzare la linea trumpiana sui migranti, sulla "difesa dei confini". La premier è certa: il ritorno del magnate, e le mosse che farà per fermare gli ingressi negli Stati Uniti, completeranno il cambiamento di prospettiva già in corso in Europa e la aiuteranno, questa la scommessa, anche sul fronte interno, nell'aspra diatriba con i magistrati sull'applicazione del protocollo Italia-Albania.
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Ma questa è la parte "facile" della strategia di Meloni. Come d'altra parte sarà semplice per la premier mettersi in scia al nuovo presidente Usa sui temi della transizione ecologica, rafforzando la richiesta a Bruxelles di rallentare sulle nuove regole per l'automotive e le case. Il riadattamento al trumpismo sarà più complesso, invece, sui conflitti. Fonti parlamentari vicine alla presidente del Consiglio danno per scontata una forte immediata iniziativa di Trump per fermare la guerra tra Ucraina e Russia. Non si teme che gli Usa abbandonino Kiev, anche perché, è il ragionamento, Trump non ha alcun interesse a dare un alone di invincibilità all'asse tra Mosca e Pechino. Ma certamente la nuova presidenza Usa si porrà in discontinuità con la linea adottata dall'amministrazione Biden. E Roma, così come tutte le cancellerie europee, andrà in affanno. Meloni predica tra i suoi calma e gesso. Non è atteso nessun segnale di cedimento. Piuttosto, si rafforzerà nella narrazione l'opzione diplomatica, la si inserirà nel dibattito a dosi graduali. Ma una cosa è certa: la parola 'pace' ora diventerà più familiare dentro FdI. Senza inseguire Salvini e la Lega, ma senza lasciare che sia solo il Carroccio a intestarsi il trumpismo sullo scenario internazionale. Anzi, proprio la velocissima presa di posizione mattutina di Donzelli sembra, più che uno sfottò al Pd, proprio un avviso alla Lega: sono FdI e, in chiave europea, Ecr, a tenere il filo diretto con i Repubblicani americani; è la premier a parlare con il nuovo presidente Usa, non Salvini.
Quanto alle conseguenze economiche di una nuova eventuale fase di protezionismo Usa, Meloni conta di attutirle con la carta che coltiva ormai da anni: il rapporto diretto e personale con Elon Musk. Sulla difesa, sull'intelligenza artificiale, anche sull'automotive la premier conta di incassare i frutti di una relazione consolidata. E dentro il Consiglio Ue, più credibilmente di Orban potrà porsi come cinghia di trasmissione con Washington. Ma prima dovrà fare dei passi politici per uscire dalla voluta prudenza delle scorse settimane e tornare ad essere, più apertamente, una leader di destra-destra. Non solo sui migranti.