Un fermo immagine tratto da un video della polizia mostra un momento dell'inchiesta della procura di Benevento sulla gestione di alcuni centri migranti
«In questa vicenda gli immigrati sono vittime di un sistema criminale, un’accoglienza barbarica, in condizioni disumane: costretti a vivere in tuguri, anche un ex pollaio, senza vestiti di ricambio e neppure la piccola somma del pocket money, pasti insufficienti e di pessima qualità, perfino latte annacquato, niente riscaldamento, a volte niente acqua né elettricità, addirittura in qualche caso senza materassi e coperte ». È durissimo il procuratore di Benevento, Aldo Policastro, nel descrivere quanto scoperto con l’operazione che ieri ha portato all’arresto di cinque persone, oltre a 36 indagati, tra le quali Paolo Di Donato, ex amministratore del consorzio Maleventum che gestisce 13 centri di accoglienza nel Sannio, con circa mille migranti, l’80% del totale della provincia.
Un indagato girava in Ferrari. Dal 2013 passato da 5mila euro a 6 milioni
L’imprenditore, ora ufficialmente consulente per tentare di mascherare le sue responsabilità, girava in Ferrari, mentre i richiedenti asilo facevano la fame. «Non è facile quantificare quanto risparmiasse per ogni persona – ci spiega ancora il procuratore – ma sicuramente era un ottimo guadagno. E in forte crescita. Nel 2013 riceveva 5mila euro dalla Prefettura, dopo tre anni era salito a 6 milioni. Con una buona accoglienza si può guadagnare il 20%, lui arrivava al 60%». Di Donato, sfogandosi in una conversazione telefonica, ammette di guadagnare anche 50mila euro al giorno sulla pelle dei migranti. «Io faccio l’imprenditore: mi occupo del sociale sì, ma non sono mica un prete, devo fare utili». E ne faceva tanti grazie a complicità istituzionali come ha scoperto l’inchiesta, durata tre anni, condotta dalla Digos e dai Carabinieri del Nucleo investigativo e del Nas, e coordinata dal procuratore, dall’aggiunto Giovanni Conzo, con la pm Filomena Rosa. Oltre a Di Donato, vero deus ex machina di gran parte del sistema di accoglienza in provincia, sono finiti agli arresti domiciliari Felice Panzone, dipendente della Prefettura, il carabiniere Salvatore Ruta, il dipendente della Procura, Giuseppe Pavone, l’imprenditore Angelo Collarile. Le ipotesi di reato sono truffa ai danni dello Stato, frode in pubbliche forniture, corruzione e rivelazione di segreti d’ufficio. Un sistema criminale che lucrava sulle assegnazioni pilotate dei migranti, sul sovraffollamento dei centri e sulla falsa attestazione di presenze degli ospiti, con la connivenza di alcuni pubblici dipendenti. In particolare, il funzionario Panzone, anche in occasione di una visita ispettiva da parte dei funzionari dell’Onu nei centri di accoglienza, avvisava i gestori con le parole in codice: «Passate la cera». Mentre il carabiniere e il dipendente della Procura passavano a Di Donato notizie sull’inchiesta.
I magistrati: colpisce la permeabilità della pubblica amministrazione
«Quello che colpisce in questa inchiesta – hanno detto i magistrati – è la permeabilità della pubblica amministrazione». Ma il procuratore va anche oltre. «Nel 2014 la direttiva politica era 'arrivano i migranti, dobbiamo piazzarli da qualche parte, ficcateli dove volete'. È la stessa filosofia che sta dietro la gestione dei rifiuti. Sono troppi, fate un buco e buttateli dentro. Rifiuti e uomini. La logica è uguale. È l’impostazione complessiva che ha facilitato queste situazioni. Una sistemazione ad ogni costo nella logica emergenziale. Nascondere il problema, affrontarlo senza i parametri di civiltà. Si delega in bianco a gogò e così si inserisce chi vuol solo fare affari». Ai giornalisti che chiedono se l’inchiesta confermi le affermazioni del ministro Salvini sul business legato ai migranti, Policastro e Conzo replicano: «La Procura si occupa di reati, non di politica ». Poi il procuratore ci spiega ancora: «Come sempre noi interveniamo sulla patologia e facciamo prevenzione sul futuro. Il resto compete al meccanismo virtuoso dell’amministrazione. Altrimenti si inseriscono furbi e delinquenti». Non solo gli arrestati di ieri. L’inchiesta è tutt’altro che finita.