Un terribile incendio scoppiato poco dopo le due di notte ha distrutto gran parte della tendopoli/baraccopoli di San Ferdinando che attualmente ospita 2.300 migranti che lavorano nelle campagne di Rosarno e degli altri paesi della Piana di Gioia Tauro. Tra le fiamme è morta una donna, mentre altre due persone ustionate sono state ricoverate all'ospedale di Polistena. Sul posto, oltre ai vigili del fuoco, sono intervenuti polizia e carabinieri che non si sbilanciano sulle cause dell'incendio che sarebbe partito dall'interno dell'insediamento.
Non è il primo incendio a colpire l'insediamento. Il 3 luglio 2017 le fiamme avevano distrutto quasi tutto le baracche che però in questi mesi sono rinate e più che raddoppiate. Questa volta l'incendio è più grave perché ha distrutto anche molte delle tende messe nel 2010 dopo la rivolta dei migranti contro sfruttamento e violenze. Sono così centinaia ora senza un pur precario ricovero e sarà difficile trovare una soluzione visto che le altre strutture che li ospitano, nuova tendopoli e due capannoni sono quasi pieni. Il prefetto di Reggio Calabria, Michele di Bari, ha convocato un comitato per l'ordine e la sicurezza e vedremo quali decisioni saranno prese. Qui nella Piana di notte il termometro scende a 3 gradi e da oggi si annuncia pioggia.
Un primo intervento arriva dalla Protezione civile regionale. Come ci spiega il responsabile Carlo Tansi, sarà montata una tensostruttura con brandine per 600 posti e una cucina da campo capace di 500 pasti, già arrivata sul posto. Ma oltre all'alloggio e al vitto, c'è un altro grave e urgente problema. Tra le fiamme i migranti hanno perso anche tutti i documenti, compreso il preziosissimo permesso di soggiorno (qui sono tutti regolari). Ed è quello che stanno chiedendo con insistenza e preoccupazione agli uomini delle forze dell'ordine presenti in modo discreto per evitare tensioni.
La testimonianza di un ferito: io, bruciato per salvare i documenti
Demba, appena 20 anni, ha la faccia triste e impaurita. È uno dei feriti nell'incendio della tendopoli. "Dormivo. Mi sono svegliato quando ho sentito gridare "il fuoco, il fuoco!"". Era nella baracca vicina a quella della donna morta ma dice di non conoscerla. Ha una mano fasciata per le ustioni. "Mi sono bruciato per salvare i documenti", ci dice indicando le preziose carte dentro la tasca del giubbotto. Per lui, come per gli altri migranti, sono la cosa più importante. "Ho perso i vestiti e anche i soldi, pochi per fortuna, ma questi li ho salvati". È in Italia dal 2014, quando aveva appena 16 anni, arrivato in barca dalla Libia in Sicilia. Poi un centro di accoglienza in Basilicata e il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Quindi la ricerca di lavoro tra Calabria e Puglia. Qui quest'anno ha lavorato solo quattro giorni. In Puglia di più ma anche lì ha avuto la stessa disavventura. "Ero al ghetto di Rignano Garganico quando è bruciato tutto. Anche lì ho perso tutto ma ho salvato i documenti". Un poliziotto lo ascolta, si commuove e di nascosto gli infila dei soldi nella tasca. Un bellissimo gesto in una giornata drammatica, ancor di più per questo ragazzo.
Il vescovo Milito: si smetta di parlare di emergenza
«Provo un senso di desolazione per quello che è successo e non doveva succedere». Lo ha detto il vescovo di Oppido-Palmi, monsignor Francesco Milito, entrando nella tendopoli/baraccopoli di San Ferdinando. Il vescovo ha poi camminato a lungo tra le baracche bruciate, accompagnato dai volontari della diocesi che da anni, da soli, accompagnano i migranti. «Dobbiamo smetterla di parlare di emergenza - ha denunciato Milito -. Emergenza è qualcosa di imprevedibile. Ma dopo tanti anni dobbiamo invece parlare di integrazione». Questi, ha aggiunto il vescovo rivolgendosi ai migranti, «sono fratelli che hanno bisogno. Le migrazioni ci sono sempre state, anche per noi italiani, ma c'era sicurezza sia alla partenza che all'arrivo. È possibile che oggi non si riesca a fare come allora?». E anche quello che si fa è poco, accusa ancora Milito. «Ci vuole qualcosa in più della presa di coscienza. Non ci può essere un'emergenza continua e non si può caricare tutto sulla nostra comunità. Se no questi drammi si ripeteranno. Tocca allo Stato continuare la sua opera portandola a compimento. Questa non è una tendopoli, parola troppo gentile, è plasticopoli, cartonopoli».
Poi annuncia che domani, nella messa in diretta su Rai1 da Seminara, sarà letta una preghiera per i migranti. Mentre lunedì all'Assemblea della Conferenza episcopale calabra, su sua richiesta, i vescovi prenderanno una posizione comune su questo dramma.