Migranti sbarcano dall'Ocean Viking a Napoli - ANSA
«Rigettiamo totalmente ogni forma di normalizzazione con Israele e ci schieriamo dalla parte del popolo palestinese, della sua giusta causa», per cui «condanniamo gli attacchi continui contro i suoi diritti». Lo ha affermato il premier libico Dbeibah a proposito dell’incontro della scorsa settimana a Roma tra la sua ormai ex ministra degli Esteri, Najla al Mangoush, e il suo omologo israeliano, Eli Cohen. Secondo il premier di Tripoli, «quali che siano le circostanze, le ragioni, il metodo, le cattive o buone intenzioni, conosceremo tutti i dettagli di ciò che è avvenuto a Roma grazie alle inchieste in corso».
Il risultato sono focolai di proteste in tutta la Libia, dove il sentimento antisraeliano è un collante che supera le barriere dei clan e determina il destino di governi e leader politici. Dopo l’apparente calma nel venerdì di preghiera, dal tramonto è stato schierato nella capitale un massiccio numero di uomini delle varie forze di sicurezza, temendo proteste contro il governo e contro i suoi alleati, Italia compresa. Roma è infatti accusata da diversi capiclan libici di essersi non solo prestata all’incontro Libia-Israele, ma di averlo organizzato. Alla Farnesina stanno cercando di salvare il salvabile, aggrappandosi a relazioni corroborate per non estromettere l’Italia dalla gestione del dossier libico. Tripoli ha infatti detto no al candidato italiano per la guida della missione Ue in Libia e il secondo in graduatoria è un diplomatico francese.
«Non bisogna confondere l’Italia con l’Unione europea. Il problema è il candidato del servizio esterno dell’Unione europea: il nostro nuovo ambasciatore in Libia ha avuto l’accoglienza delle credenziali, è stato gradito, qualcuno ha scritto cose non vere», ha affermato il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani. Parigi e Roma da anni sgomitano e non se le mandano a dire. Pochi giorni dopo il vertice in Libia tra i capi delle forze di polizia e intelligence italiane, all’inizio del 2023, con il nuovo ministro dell’interno libico Trabelsi (segnalato dall’Onu per attività illecite e per essere un noto capobanda dell’Ovest), questi venne fermato in aeroporto a Parigi e trattenuto con l’accusa di traffico di valuta: oltre mezzo milione di euro in contanti non dichiarati alla dogana. Un avvertimento per l’Italia che con il “Piano Mattei” vorrebbe riprendere il controllo dei campi petroliferi e influenzare la politica di diversi Paesi africani che con Parigi hanno rapporti tesi.
Ma come sempre accade in Libia, la serie di defaillance politico-diplomatiche viene sottolineata con la riapertura delle partenze dei migranti, momentaneamente spostati in Tunisia e che negli ultimi giorni hanno visto numerosi barconi salpati di nuovo dalle coste libiche. La cosiddetta Guardia costiera di Tripoli – composta da almeno tre milizie marittime a cui si è aggiunta quella di Bengasi guidata dal figlio del generale Haftar – oramai agisce incurante dei testimoni scomodi. Sotto gli occhi dell’aereo di monitoraggio di Sea Watch, una delle motovedette è stata vista avvicinarsi a un barcone di migranti allo scopo di recuperarne il motore. Una operazione mirata, come documentato anche in passato, e da cui i guardacoste traggono un vantaggio rimettendo i costosi motori fuoribordo nel circuito di mercato illecito. Ancora una volta le analisi delle Nazioni Unite prendono di mira la filiera degli abusi e accusano i sostenitori internazionali del “sistema Libia”.
«Migliaia di migranti e richiedenti asilo detenuti in varie strutture nella Libia occidentale devono affrontare trattamenti disumani, tra cui la negazione dei diritti legali, la deliberata negligenza medica, la tortura fisica e psicologica, l’estorsione e le molestie sessuali», si legge in una nota di aggiornamento delle agenzie umanitarie Onu del 31 agosto. Secondo le testimonianze di ex detenuti del centro di detenzione “Abu Salim”, dove il corpo di una donna senza vita è stato lasciato dai carcerieri in mezzo agli altri detenuti, «ai migranti vengono abitualmente negate procedure legali adeguate e vengono trattenuti fino a quando - è scritto - non riescono a procurarsi denaro sufficiente per corrompere i funzionari statali o gli impiegati del centro, una somma che il più delle volte raggiunge i 1.000 dollari».
EuroMed Rights, il network di 70 organizzazioni per i diritti umani di 30 paesi, spiega nel report citato da ReliefWeb, il servizio di informazioni umanitarie fornito dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha), che «lo stato spaventoso del centro di detenzione di Abu Salim esemplifica le condizioni prevalenti nella maggior parte dei centri di detenzione per migranti e richiedenti asilo in Libia». Strutture generalmente gestite dalla « Direzione libica per la lotta alla migrazione illegale (Dcim) del Ministero dell’Interno, che riceve sostegno finanziario e logistico dall’Italia e dall’Unione Europea». A capo del Dipartimento il governo Dbeibah ha nominato Mohamed al-Khoja, uno spietato capomilizia su cui indagano gli ispettori Onu per violazioni dei diritti umani, crimini di guerra e altri traffici illeciti. Secondo la nota di aggiornamento di “Reliefweb” «alcune morti di migranti nei centri di detenzione libici dovrebbero essere trattate come omicidi, e tutte le parti coinvolte dovrebbero essere ritenute penalmente responsabili e consegnate alla giustizia».