Lo scontro in Libia si fa sempre più duro e entrambe le parti in conflitto non esitano ad arruolare, con il ricatto, i migranti bloccati nel Paese. Anche bambini - Reuters
Adulti o mocciosi non fa differenza. L’importante è che siano migranti e che sappiano premere il grilletto.
Perché anche i ragazzini in Libia sono carne da cannone da gettare in battaglia. Lo denuncia Henrietta Fore, direttore esecutivo dell’Unicef che chiede «a tutte le parti in conflitto, e a coloro che hanno influenza su di loro, di proteggere i bambini, di porre fine al loro reclutamento». In una dichiarazione, l’agenzia delle Nazioni Unite per la tutela dei minori menziona alcuni «report su bambini mutilati, uccisi e anche reclutati per combattere».
Dello stesso tenore l’accusa dell’Acnur, preoccupata per l’arruolamento forzato dei prigionieri. «Abbiamo le prove», assicura Vincent Cochetel, inviato dell’alto commissariato per i rifugiati nel Mediterraneo Centrale. Prove ottenute «attraverso migranti che si trovano nei centri di detenzione». Il reclutamento avverrebbe per mano di combattenti sudanesi che stanno offrendo ai migranti reclusi un’alternativa alla detenzione.
Un ricatto: «Restare imprigionati per un periodo indefinito oppure combattere». Al momento né Cochetel né gli altri funzionari Onu sul terreno sono in grado di fornire una stima sul numero dei “migranti-soldato”.
Nei centri di detenzione ufficiali si trovano circa 3mila persone.
Chi accetta, spiega l’inviato Acnur, «riceve un’uniforme, un’arma e viene subito spinto nel mezzo della guerriglia urbana». Le informazioni ottenute riguardano in particolare profughi sudanesi, probabilmente perché parlano l’arabo e dunque possono essere sfruttati specialmente dalle milizie pro-Haftar, alcune delle quali provenienti proprio dal Sudan e dalla regione del Darfur.
Altre fonti ascoltate dall’Acnur riferiscono di analoghe modalità per assoldare stranieri da parte dei clan che sostengono il governo di Tripoli: «Entrambe le parti in conflitto sono coinvolte».
In questi giorni il mercato degli schiavi da mandare a morire lavora a pieno regime. «I vari gruppi hanno necessità di soldati anche poco addestrati – spiega una fonte di un’agenzia di sicurezza privata a Tripoli – per controllare i quartieri come fa la mafia italiana, e prepararsi alla battaglia casa per casa. Inoltre, quando qualcuno viene ucciso, nessuna delle parti ammette le perdite».
Le accuse espresse in queste ore dalle agenzie umanitarie dell’Onu confermano il contenuto dell’ultimo rapporto degli investigatori della missione delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil). Nel dossier, già acquisito dalla procura della Corte penale internazionale dell’Aja, viene ricostruita l’intera filiera dell’approvvigionamento di combattenti, le cui rotte sono sovrapponibili a quelle del traffico di esseri umani.
Non a caso il principale grossista di soldati a perdere è Nasser Bin Jreid, contrabbandiere di uomini ed ex ufficiale gheddafiano. Noto per i suoi legami con le milizie di Sudan e Ciad, è rimasto in ottimi rapporti con i comandanti delle contrapposte fazioni libiche. Secondo il rapporto, Bin Jreid «continua a reclutare singoli combattenti sudanesi e ciadiani per tutte le parti».