Gli italiani all'estero sono circa lo stesso numero degli immigrati stranieri in Italia. Al 1° gennaio 2017 i nostri connazionali residenti oltreconfine e iscritti alľAire sono quasi 5 milioni, esattamente 4 milioni 973 mila 942. Ben ľ8,2% della popolazione nazionale, 60,5 milioni. L'Italia dunque non ha solo un passato da paese di emigrazione, ma un presente, anche se quella attuale è sicuramente diversa dalle ondate di emigrazione del secolo scorso. Un dato sorprendente, che emerge alla presentazione - questa mattina a Roma - della XII edizione del Rapporto Italiani nel Mondo della fondazione Migrantes.
All'incontro sono intervenuti tra gli altri il direttore di Migrantes don Giovanni De Robertis, il presidente monsignor Guerino Di Tora, Andrea Riccardi come presidente della società Dante Alighieri, il sottosegretario agli Esteri Vincenzo Amendola e il segretario della Cei monsignor Nunzio Galantino.
Italia dunque ancora paese di emigrazione. Dal 2006 al 2017, in un decennio, la mobilità italiana è aumentata del 60,1% passando da poco più di 3 milioni a quasi 5 milioni di iscritti alľAire. Solo nel 2016 sono partiti ben 124.076 italiani, il 15,5% più dell'anno precedente.
Ma dove espatriano gli italiani in cerca di migliori opportunità professionali? Nelľultimo anno soprattutto in Gran Bretagna (24.771 iscritti), poi Germania (19.178), Svizzera (11.759), Francia (11.108), Brasile (6.829) e Stati Uniti (5.939).
Da dove partono soprattutto? Non più solo dal Mezzogiorno: la prima regione è la Lombardia, con 23mila partenze, seguono Veneto, poi Sicilia e Lazio, con 11mila partenze ciascuna, e Piemonte.
Si spostano soprattutto i giovani. E ci sono anche le famiglie
Nel 2016, in particolare, si è registrato un boom di giovani che se ne vanno dal nostro Paese. Nel 2016 se ne sono andati in 48.600 nella fascia di età tra i 18 e i 34 anni, il 39% per cento del totale, oltre 9mila in più rispetto al 2015.
"Le partenze - spiegano i ricercatori - non sono individuali ma di 'famiglia' intendendo sia il nucleo familiare più ristretto, ovvero quello che comprende i minori (oltre il 20%, di cui il 12,9% ha meno di 10 anni) sia la famiglia 'allargata', quella cioè in cui i genitori - ormai oltre la soglia dei 65 anni - diventano 'accompagnatori e sostenitori' del progetto migratorio dei figli (il 5,2% del totale).
A questi si aggiunga il 9,7% di chi ha tra i 50 e i 64 anni, i tanti "disoccupati senza speranza", rimasti senza lavoro in Italia e con enormi difficoltà di riuscire a trovare alternative occupazionali concrete per continuare a mantenere la propria famiglia. Le donne sono meno numerose in tutte le classi di età ad esclusione di quella degli over 85 anni (358 donne rispetto a 222 uomini).
Emigrazione di nuovo valvola di sfogo
Oggi dunque la migrazione è diventata nuovamente, come in passato, una valvola di sfogo, ciò che – spiegano i ricercatori – "potrebbe permettere di trovare una sorte diversa rispetto a quella a cui si è destinati nel territorio di origine”. Così intesa, la mobilità diventa “unidirezionale”, dall’Italia verso l’estero, con partenze sempre più numerose e con ritorni sempre più improbabili. “La questione non è tanto quella di agire sul numero delle partenze – anche perché nel mondo globale la libertà di movimento, il sentirsi parte di spazi più ampi e di identità arricchite è quanto si sta costruendo da decenni – ma piuttosto di trasformare l’unidirezionalità in circolarità in modo tale da non interrompere un percorso di apprendimento e formazione continuo e crescente, da migliorare le conoscenze e le competenze mettendosi alla prova con esperienze in contesti culturali e professionali diversi tenendosi aggiornati e al passo con il mondo che cambia”.
Galantino: ognuno venga arricchito dalla presenza dell'altro
“Mi auguro che questo studio possa continuare a gettare luce sulla mobilità umana tout court” e possa aiutare la “nostra politica ad uscire da una cultura degli slogan. In materia di immigrazione ed emigrazione, la conoscenza scientifica dei fenomeni è la strada giusta per riproporre un ambiente sociale in cui ciascuno venga arricchito e non depauperato dalla presenza dell’altro”. Così il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino. “La cittadinanza – ha spiegato – non è data solo dal territorio (ius soli) o dal sangue (ius sanguinis) ma è determinata da quanto si vive e si sperimenta nel corso della propria vita. Diventano determinanti il cammino formativo, il percorso di conoscenza del sé, i luoghi in cui si vivono le stagioni della vita, gli incontri; tutti elementi culturali che creano non una sola identità ma identità plurime, dinamiche, in costante arricchimento”.
Concetti che, per Galantino, “è importante riscattare da un ambito meramente socioculturale per farli diventare anche cultura vissuta. Dobbiamo fare – ha avvertito – lo sforzo di continuare a dire queste cose, facciamole diventare anima di un modo diverso di stare tra noi e di capire le cose”. Di qui l’auspicio che il Rapporto, “importante per sé, facendoci capire alcune realtà vissute dagli italiani nel mondo, ci aiuti a guardare con occhi diversi quanti stanno qui da noi”.