Giorgia Meloni durante la conferenza stampa a Pechino - Reuters
Giorgia Meloni rivendica «risultati concreti» per la sua missione in Cina, nega che i rapporti con la Commissione Europea «stiano peggiorando», lancia l'ennesima stoccata alla sinistra e afferma di credere che il Paese di Xi Jinping possa avere «un ruolo dirimente e risolutore» nella guerra Russia/Ucraina. C'è tutto questo nei circa 25 minuti di incontro della presidente del Consiglio con i giornalisti italiani al seguito, rigorosamente un punto stampa in piedi (non una vera conferenza stampa) nella hall dell'hotel Regent, non distante dalla Città proibita. Un botta e risposta dedicato in buona parte ai temi della visita cinese a lungo curata da Palazzo Chigi: rispetto al Paese del Dragone la premier conferma che siamo davanti a «una fase nuova, un approccio alternativo» (non lesinando una frecciata a Giuseppe Conte, l'ex premier e capo di M5s che aveva voluto invece l'accordo per la Via della Seta da lei rinnegato a fine 2023) e precisa che sull'interesse di Pechino per un progetto sulle auto elettriche siamo solo alla fase preliminare, non c'è ancora nulla di definito.
Ma, pur restando in ambito internazionale, è sull'Europa che il punto stampa assume i tratti più salienti. D'altronde questa missione è stata segnata anche dalla contemporanea pubblicazione di una lettera puntuta di Meloni a Ursula von der Leyen in replica ai rilievi fatti dalla Commissione di Bruxelles sullo "stato di diritto" in Italia, in particolare sulle tutele dell'informazione pubblica. «Non vedo ripercussioni negative per l'Italia e del resto la lettera non è un momento di frizione con la Commissione - ha spiegato la leader di Fdi -, è una riflessione comune sulla strumentalizzazione che è stata fatta di un documento tecnico nel quale mi corre l'obbligo di ricordare che gli accenti critici non sono della Commissione». E qui la premier è stata anche più esplicita rispetto alle osservazioni messe per iscritto, prendendosela con certi ambienti, politici e non: Bruxelles si limiterebbe a «riportare accenti critici di alcuni portatori di interesse: il Domani, il Fatto quotidiano, Repubblica...». Presunte controparti sue, rappresentative di «una sinistra che cerca il soccorso esterno perché evidentemente è molto dispiaciuta di non poter utilizzare il servizio pubblico come fosse una sezione di partito». Per queste ragioni a suo avviso c'è stato «chi ha strumentalizzato quel rapporto che, tra l'altro, non dice niente di particolarmente nuovo rispetto agli anni precedenti, anche questo varrebbe la pena di ricordare». E che i rapporti con la Von der Leyen restino "normali", anche dopo il no di Fratelli d'Italia al bis della tedesca alla guida della Commissione, lo dimostra il passaggio in cui Meloni dice che sulle deleghe per il nuovo commissario europeo italiano «sto parlando con Ursula von der Leyen, abbiamo tempo fino al 30 agosto» per i due nomi e, d'altronde, sulla scelta «chiaramente bisogna fare anche una valutazione con i partiti della maggioranza».
Tornando ai temi Rai, la tv pubblica per la quale smentisce ipotesi di privatizzazione, la presidente del Consiglio afferma che «sulle nomine bisognerà procedere nelle prossime settimane, anche perché si è dimessa anche la presidente, mentre «sulla governance io sono assolutamente laica: non è una riforma che ho fatto io, non l'ho neanche particolarmente difesa, quindi se quelli che l'hanno scritta oggi dicono che è pessima, possiamo parlarne», aggiunge senza prendere però impegni precisi. Ma «TeleMeloni non mi interessa, non ne ho bisogno, non la voglio, ci sono i miei canali social», così come non si può dire che da noi «ci sono delle intimidazioni alla stampa perché ci sono degli esponenti politici che querelano per diffamazione alcuni giornalisti, non mi pare che in Italia vi sia una regola che dice che se tu hai una tessera da giornalista - che ho anche io in tasca - puoi liberamente diffamare qualcuno» e, quindi, parlare di intimidazioni «vuol dire non avere neanche rispetto dell'indipendenza dei giudici».
Poi Meloni si è soffermata sui contenuti del colloquio con il presidente cinese, Xi Jinping, con cui «c'è stato un confronto franco, trasparente, rispettoso, su tutte le materie sulle quali chiaramente la Cina rimane un interlocutore indispensabile». E fra queste al primo posto ci sono i conflitti: «Sicuramente noi siamo stati abbastanza chiari nel porre la questione» del sostegno militare della Cina alla Russia, ha affermato Meloni, aggiungendo che «io penso che la Cina non abbia alcuna convenienza in questa fase a sostenere la capacità industriale russa, è evidente che questo crea una frizione perché lo abbiamo scritto in tutti i modi possibili e immaginabili nei vertici internazionali. Il presidente Xi ci diceva che la Cina lavora sempre per la convivenza pacifica tra i popoli, ecco mi piacerebbe che si facessero dei passi in questo senso» (va ricordato che una settimana fa è stato in Cina per 3 giorni Dmytro Kuleba, il ministro degli Esteri ucraino). Mentre sul Medio Oriente Meloni si è detta «molto preoccupata per quello che sta accadendo in Libano proprio mentre sembrava che ci potessero essere degli spiragli. Ogni volta che ci sembra di essere un po' più vicini all'ipotesi di un cessate il fuoco accade qualcosa, questo significa che ci sono diversi soggetti regionali che puntano a un'escalation, lo dico anche per invitare Israele a non cadere in questa trappole».