mercoledì 20 dicembre 2017
Sgominata gang nigeriana, indagini su connessioni con le mafie. Gratteri: «Abusate in Libia per abituarle a quello che avrebbero dovuto sopportare una volta arrivate in Italia»
Magia nera e stupri, l’orrore della tratta
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Ricorrevano anche a riti di magia nera vodoo/juju per soggiogare le loro vittime e costringerle a prostituirsi per pagare quel debito, contratto con i loro aguzzini per giungere in Italia, ammontante a trentamila euro. Per questo motivo, nel corso di una vasta operazione dal nome in codice "locomotiva" dal luogo in cui nei pressi della stazione ferroviaria lametina veniva esercitata la prostituzione, i carabinieri del Gruppo di Lamezia Terme, al comando del tenente colonnello Massimo Ribaudo, hanno fermato sette persone (un italiano e sei nigeriani), accusate, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata alla tratta di esseri umani, acquisto e alienazione di schiavi, immigrazione clandestina, riduzione in schiavitù e sfruttamento della prostituzione con l’aggravante della transnazionalità.

Le indagini, coordinate dalla procura distrettuale antimafia di Catanzaro, hanno preso il via a gennaio di quest’anno dopo la denuncia di una delle vittime e hanno appurato l’esistenza di uno strutturato e pericoloso sodalizio criminale, operante in diverse località del territorio italiano, tra cui Lamezia Terme, Rosarno e Livorno, con ramificazioni in Nigeria e Libia, in grado di far arrivare clandestinamente in Italia giovani nigeriane, costringendole a prostituirsi, con reiterate violenze e minacce, anche attraverso la sottoposizione a riti di magia nera per poter estinguere il debito.

Le donne, di etá compresa tra i diciannove e i trenta anni, con il sogno di un futuro migliore in Europa, venivano adescate in Nigeria. Era da lí che iniziava il loro viaggio verso quello che, lentamente, si trasformava in un vero e proprio incubo. Attraversato il Niger, le ragazze giungevano in Libia nelle cui carceri diventavano oggetto sessuale dei secondini. Qui i loro aguzzini, grazie ai "connection men", riuscivano a corrompere le guardie e, dietro il pagamento di cinquemila dinar, le facevano liberare. Per le donne, quindi, sembrava aprirsi una nuova vita, invece non era cosí.

Giunte in Italia, a bordo dei tanti barconi della speranza, venivano rintracciate nei centri di accoglienza da dove venivano prelevate per poi essere affidate alla "madame" che si impossessava dei loro documenti e, dietro minacce e violenze, gestiva non solo i loro corpi, ma anche i loro guadagni: una parte serviva per pagare il riscatto ed un’altra finiva in una cassa comune per l’acquisto di nuove "schiave". Tra le madame, che avevano sotto la loro custodia sette ragazze ciascuna, vi era una vera e propria collaborazione sia sulla gestione dei posti che delle ragazze oltre che sullo scambio di consigli su come gestire le lucciole e vincere la resistenza di alcune di esse.

In mezzo a tutto ció le storie di queste donne fatte di violenze, ma anche di privazioni: se il guadagno non era quello previsto, venivano lasciate senza cibo ed acqua. Ma non solo. L’organizzazione si occupava di tutto, compresa la fornitura di profilattici e, se le donne restavano incinta, si preoccupava anche di farle abortire in casa.
Ma le indagini sono finalizzate ad accertare eventuali possibili legami tra l’organizzazione africana ed esponenti della criminalità locale. Da alcune intercettazioni sarebbe emerso il pagamento di somme di denaro ad alcuni personaggi per avere
l’autorizzazione a far prostituire le ragazze nigeriane in determinate zone.

«Prima ancora che dei reati – ha concluso il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri – per noi è fondamentale preoccuparci della gente che soffre e questa è un’indagine importante che riguarda la libertà fisica e psichica di esseri umani. Le indagini testimoniano come già in Nigeria queste donne venissero programmate con una strategia per portarle a prostituirsi. Gli
stupri che subivano in Libia erano praticamente un allenamento per quello che avrebbero dovuto sopportare una volta arrivate in Italia». L’organizzazione aveva per gli inquirenti risorse per affrontare ogni imprevisto» e contatti anche in altre città
italiane come Napoli e Foggia.

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