Il ritorno prepotente del dibattito fra scuola in presenza e didattica a distanza dovrebbe essere sgombrato dal pensiero che esista una pregiudiziale antitecnologica nella scuola italiana. Da ormai cinque anni le linee di finanziamento più significative a favore della scuola, almeno fino al Pnrr dei fondi europei Next generation, sono gli investimenti nell’aggiornamento digitale. Dopo due anni di pandemia il problema non è la giusta considerazione da dare agli strumenti digitali quanto il senso stesso da attribuire all’esperienza scolastica in età evolutiva.
Ci sono tappe di crescita che non possono essere saltate. I bambini dai 3 ai 6 anni hanno bisogno dei loro coetanei in una misura irriducibile, necessaria e indispensabile come dormire, mangiare e godere dell’accudimento dei propri genitori. Alla Primaria gli apprendimenti basilari del leggere, scrivere e far di conto non possono avvenire in un contesto virtuale sganciato, come nel caso della scuola online, dall’esperienza concreta, tangibile, sensoriale, direbbe Maria Montessori, dalla condivisione di materiali didattici e dello scambio mutualistico fra i coetanei.
Su un videoschermo nessuna tastiera può garantire risultati efficaci nel campo della lettoscrittura e del calcolo matematico.
Ma anche quando i ragazzi arrivano all’adolescenza il bisogno della scuola non è semplicemente il bisogno di materie, discipline, conoscenze, contenuti e obiettivi di vario genere quanto di un incontro e a volte scontro con coetanei che sono a loro volta dentro il desiderio evolutivo di uscire di casa, di liberarsi dal controllo dei genitori, di vivere nuove avventure e nuove scoperte anche a livello affettivo, sentimentale, sessuale e sportivo. La scuola è il punto di convergenza della crescita per i nostri bambini e i nostri ragazzi.
Non esiste un piano B.
La Dad non vuol dire semplicemente fare didattica digitale, vuol dire restare in casa e restare in casa vuol dire perdere occasioni e possibilità, vuol dire regredire, vuol dire ritrovarsi in un nido che è stato utile, necessario ai tempi dell’accudimento ma poi diventa soffocante, una tana che porta all’isolamento, a perdere mesi se non anni, preziosi dove mettersi alla prova e conquistarsi la vita, non solo vederla scorrere davanti a un videoschermo. Da pedagogista, da tecnico della scuola, dell’educazione, dell’apprendimento, trovo davvero molto curioso che dirigenti scolastici, politici con responsabilità apicali e anche persone di cultura e di scienza sottovalutino con leggerezza i danni che una permanenza casalinga mai avvenuta in termini così prolungati nella storia dei bambini e dei ragazzi provochi sulle nuove generazioni.
Le avvisaglie ormai non sono più tali, da diverse parti si evidenziano le estreme difficoltà di una generazione decisamente isolata, ristretta nel proprio spazio vitale. Anche i genitori che accolgo nei miei studi di consulenza pedagogica avvertono il pericolo. In questi due anni l’Europa dei paesi fondatori, Germania, Francia, Olanda, Belgio, Lussemburgo, ha fatto la scelta di tenere aperte le scuole. Attualmente l’Olanda è ancora in lockdown ma le scuole riaprono regolarmente. Dobbiamo restare in Europa condividendo la necessità e la passione per la scuola, dando priorità a questo bisogno imprescindibile che deve e può segnare la vita dei nostri ragazzi.