I suoi 53 associati fatturano quasi un miliardo di euro. Tra loro, anche aziende chimiche di grandi dimensioni, ma per lo più si tratta di piccole e medie imprese, molte delle quali operano nel mercato del biologico. Fanno il 90% del mercato dei concimi. È comprensibile che Giovanni Toffoli, presidente di Assofertilizzanti, l’Associazione di Federchimica che tutela e rappresenta i produttori di fertilizzanti che operano in Italia, sia preoccupato del fenomeno dei concimi illegali, denunciato da Avvenire il 2 giugno dopo la scoperta di una serie di prodotti addizionati con matrina, un pesticida velenoso. Toffoli ammette che servono più controlli, ma non accetta che venga demonizzato un comparto o si intervenga con modifiche normative che appesantirebbero l’attività delle imprese, senza una reale giustificazione tecnico-scientifica.
Dunque nelle campagne italiane circolano falsi concimi?
La contraffazione, ahimè, è un fenomeno diffuso in diversi settori commerciali, compreso quello dei fertilizzanti. Le autorità preposte, però, svolgono ogni anno indagini, non solo presso i siti produttivi, ma anche direttamente presso le rivendite e presso gli agricoltori. Nel 2018 sono stati effettuati 2331 controlli, contro i 1268 del 2017. Ovviamente, non ci possiamo dire soddisfatti, ma ritengo che tutte le componenti del comporto possano fare di più, anche agevolando l’attività dei controllori.
Se un’impresa produce un concime che invece è un insetticida, il rivenditore, il certificatore e l’agricoltore che lo usano sono sprovveduti o correi?
Se un’impresa produce scientemente un concime che è un agrofarmaco sta operando al di fuori delle norme. Va evidenziato, però, che tutte le figure professionali del mondo produttivo sono perfettamente in grado di distinguere tra agrofarmaci e fertilizzanti. Ciascuna delle componenti può dare un contributo, evitando comportamenti elusivi e segnalando situazioni anomale alle autorità. La stragrande maggioranza delle imprese dei fertilizzanti è, però, estranea a questi comportamenti illeciti, che rappresentano uno svantaggio competitivo e un problema reale per chi opera nel rispetto della legge.
Dover presentare solo un’autodichiarazione per commercializzare un fertilizzante non favorisce i criminali?
È necessaria una precisazione: la commercializzazione di fertilizzanti nazionali non è soggetta ad una semplice autocertificazione, bensì ad un vero e proprio processo registrativo. L’inserimento dei fertilizzanti in legge deve essere validato da una apposita commissione preposta a valutare complessi dossier tecnici relativi ai criteri qualitativi, all’efficacia agronomica e alla sicurezza dei fertilizzanti. Inoltre, chiunque immetta un fertilizzante in commercio deve essere iscritto in un apposito registro presso il Ministero, ciò per assicurare la tracciabilità del prodotto e la punibilità di chi opera al di fuori della legge.
È vero che la commissione tecnica che dovrebbe autorizzare i nuovi concimi non si riunisce da anni?
Le attività della Commissione Tecnica sono state prese in carico dal Gruppo di lavoro permanente per la Protezione delle Piante del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari, Forestali e del Turismo, la cui ultima riunione è stata a marzo di quest’anno.
Ai concimi non potrebbero essere applicate le stesse precauzioni imposte agli agrofarmaci?
I fertilizzanti e gli agrofarmaci, differiscono per caratteristiche compositive e finalità d’uso, oltre che per impianti regolatori. Riteniamo che le norme nazionali sui fertilizzanti, suffragate, peraltro, dal nuovo Regolamento europeo di prossima promulgazione, siano sufficienti a dare garanzie in termini di salute umana, impatto ambientale e contrastare le frodi. Qualsiasi modifica all’attuale assetto dovrebbe essere giustificata da motivazioni fondate e non con l’unico scopo di punire la minoranza dei "furbetti". In caso contrario, si avrebbe solo l’effetto di minare in maniera ingiustificata la competitività di imprese e agricoltori.
È pensabile che i concimi non siano più venduti in concentrati, per impedire usi diversi dalla fertilizzazione?
I prodotti sono corredati da un’etichetta che deve spiegare in maniera precisa come impiegare il prodotto e ovviamente il materiale pubblicitario e le immagini devono essere coerenti con quanto esplicitato in essa. I formulati rispondono anche a esigenze di processi industriali. Non sono convinto che agendo solo sulla concentrazione si arrivi a risolvere il problema; senza un’assunzione di responsabilità di tutte le componenti della filiera non si arriverebbe a nessun risultato.
Quale soluzione propone?
Tutto passa attraverso un’opera di sensibilizzazione da parte delle associazioni di categoria e delle istituzioni. Come Assofertilizzanti abbiamo già preso una posizione molto ferma, che abbiamo trasmesso a istituzioni e stakeholder. Queste campagne dovrebbero essere accompagnate da una maggiore presenza dei controlli sul territorio, senza però che ciò comporti la demonizzazione delle imprese: bisogna distinguere e tutelare le imprese che svolgono al meglio la propria attività.