Immagine d'archivio: alcune donne detenute in un campo di prigionia a Tripoli / Robert Y. Pelton /Moas - Robert Y. Pelton /Moas
Sono rimaste in cinque. Tutte minorenni. Tutte somale. La loro età è nota alla polizia libica. Ma non è certo l’essere poco più che bambine a metterle al riparo dagli stupri dei guardiani foraggiati, equipaggiati e addestrati da Italia e Ue. Anche se ieri Bruxelles ha scaricato le responsabilità su Roma.
Un mese fa due ragazzine, dopo l’ennesima sessione di abusi ad opera degli agenti, hanno provato a togliersi la vita. Entrambe sono state ricoverate in ospedale a Tripoli e visitate da personale di Medici senza frontiere, che ne ha chiesto l’immediato rilascio. Ma non c’è stato niente da fare. Le hanno di nuovo gettate in cella. Per continuare come prima.
«Anche se non è la prima volta che subisco aggressioni sessuali, queste sono le più dolorose, perché sono commesse dalle persone che dovrebbero proteggerci», ha raccontato una di loro. Nessuna alternativa: «Devi dargli qualcosa in cambio per poter andare in bagno, o per chiamare la famiglia, o per evitare di essere picchiata».
Succede nel centro di detenzione ufficiale di Shar al-Zawyah, una prigione nella quale vengono portati i migranti catturati in mare dalla cosiddetta guardia costiera libica, in attesa del loro trasferimento in uno degli altri 28 campi di prigionia riconducibili al governo di Tripoli. Le ragazze in passato sono state rinchiuse in gattabuie clandestine. Ma adesso che si trovano in una struttura statale assicurano che «è come essere prigioniere dei trafficanti».
Gli assalti sessuali possono avvenire in qualsiasi momento della giornata. L’Associated Press è riuscita a mettersi in contatto con una di loro. Proteggere l’identità delle giovani è un obbligo. L’adolescente sta affrontando il rischio di ritorsioni pur di denunciare gli aguzzini. Ma per i poliziotti-stupratori non sarà difficile, con sole 5 minorenni, punirle indiscriminatamente.
«Una notte di aprile, verso mezzanotte, una ragazza chiese a una guardia di lasciarla andare in bagno. Quando ebbe finito, la guardia l'aggredì. Dopo averla palpeggiata la stuprò mentre lei piangeva. Poiché il poliziotto aveva sporcato il vestito della ragazzina, le ordinò di andare a lavarsi», si legge in un report di alcuni attivisti libici entrati in contatto con le piccole prigioniere. «Ero pietrificata, non sapevo cosa fare - ha raccontato la 16enne somala -. Succede ogni giorno. Se resisti, vieni picchiata e privata di tutto».
Il governo libico non ha voluto commentare le notizie. Suki Nagra, rappresentante in Libia dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, ha confermato: «Le armi tacciono, c'è un cessate il fuoco, ma le violazioni dei diritti umani continuano senza sosta». E da Ginevra l’Alto commissariato parla di «violenza sessuale inconcepibile contro donne e ragazze migranti nel centro di detenzione Shara' al-Zawiya di Tripoli: tentativi di suicidio per disperazione e fame. Chiediamo il loro rilascio e protezione immediati. La Libia non è un porto di ritorno sicuro per i migranti».
La sola certezza è l’impunità. «Nessun addebito per gli autori di questi abusi contro le donne che sono state riportate in Libia dalla guardia costiera», denuncia ancora una volta Vincent Cochetel, inviato dell’Alto commissariato per i rifugiati nel Mediterraneo Centrale. «La maggior parte delle donne rifugiate evacuate dai centri di detenzione dove erano state trattenute per più di 9 mesi - aggiunge - avevano figli o erano incinte a causa degli stupri da parte delle guardie». Anche quando i casi sono documentati e i presunti colpevoli vengono arrestati, «spesso finiscono in libertà per mancanza di testi disposti a testimoniare per paura di rappresaglie. Ad esempio - ricorda l’Associated Press -, Abdurhaman al-Milad (il noto Bija, ndr), che è sotto sanzioni delle Nazioni Unite e pur arrestato l'anno scorso con l'accusa di traffico di esseri umani e contrabbando di carburante, è stato rilasciato ad aprile senza processo».
Un’altra ragazza ha riferito di aver iniziato a subire molestie sessuali pochi giorni dopo essere stata condotta nel centro di detenzione. Il brutale copione non cambia. Quando la somala ha chiesto a una guardia di lasciarla chiamare i genitori, il militare le ha dato un telefono e l'ha fatta uscire dalla cella. Dopo che la ragazza riattaccato, lui l’ha afferrata.
Al 10 giugno, un totale di 10.454 rifugiati e migranti sono stati segnalati da Unhcr-Acnur come intercettati dai guardacoste libici nel 2021. La maggior parte sono cittadini del Sudan (20%), del Mali (16%) e del Bangladesh (9%).
Da Bruxelles intanto suggeriscono alla stampa di chiedere spiegazioni all’Italia. Alcune settimane fa un portavoce della Commissione aveva spiegato che le intercettazioni in mare avvengono poiché Roma nel 2017 aveva pagato di tasca propria, impiegando circa 2 milioni di euro, la stesura e la registrazione dell’area di ricerca e soccorso libica, nonostante la Libia non sia riconosciuta come “Paese sicuro”. Quanto alla gestione dei migranti da parte del Dipartimento anti immigrazione illegale di Tripoli (Dcim) «non ci sono fondi dell'Ue che vanno direttamente alle autorità libiche», ha detto Ana Pisonero, portavoce della Commissione europea. Semmai «è in vigore il programma messo in campo del ministero dell'Interno italiano» per il sostegno della Guardia costiera libica. Tuttavia «l'attuale sistema di detenzione arbitraria e disumana dei migranti - ha aggiunto - deve finire».
Il 19 maggio era stata ancora una volta la procura internazionale dell’Aja ha denunciare i crimini. «Negli ultimi sei mesi, l’Ufficio del procuratore ha continuamente ricevuto e raccolto informazioni credibili e prove sostanziali su gravi crimini che si presume siano stati commessi in centri di detenzione ufficiali e non ufficiali in Libia», si leggeva.
Abusi commessi «su larga scala: violenza sessuale, trattamento inumano e detenzione arbitraria». Violazioni «ampiamente denunciate per anni, ma finora nessuno è stato ritenuto responsabile».