giovedì 18 luglio 2024
L'intellettuale curdo-iraniana arrestata a dicembre con l'accusa di essere una scafista, invia una lettera al capo dello Stato, professandosi innocente: «Presidente, le chiedo giustizia e umanità»
Maysoon Majidi

Maysoon Majidi - dal Web

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«Vi prego di non lasciarmi sola, la vostra azione può fare la differenza tra la speranza e la disperazione, tra la libertà e la prigionia». Sono le ultime righe dell'accorata lettera-appello inviata al capo dello Stato Sergio Mattarella dall’attivista curdo-iraniana Maysoon Majidi. La ventottenne, intellettuale e registra teatrale in fuga dall’Iran per aver contestato il regime e giunta in Italia su un barcone, è stata arrestata a Crotone il 31 dicembre scorso con l’accusa d’essere una scafista. Poi è stata trasferita nel carcere di Castrovillari (Cosenza) dove ha attuato lo sciopero della fame e infine spostata nel penitenziario di Reggio Calabria.

«Le chiedo, presidente, che la mia situazione venga risolta con giustizia e umanità»

Nella lettera - diffusa ieri alla Camera dai deputati Laura Boldrini (Pd) e Marco Grimaldi (Avs) nel corso di una conferenza stampa - la donna ribadisce la propria innocenza, lamentando che l’accusa si fondi su dichiarazioni «poi smentite» di due testimoni, Inoltre chiede, in attesa del giudizio, la libertà provvisoria o la detenzione alternativa. «Sono solo una dei richiedenti asilo che fuggono da situazioni d’acuta sofferenza - scrive Maysoon -. Il mio arresto e la mia detenzione credo siano non solo un'ingiustizia, ma un'ombra sulla tutela di quei diritti umani che l'Italia ha sempre affermato». L'appello è indirizzato al Quirinale: «Mi rivolgo a Lei, presidente della Repubblica, e al popolo italiano con la speranza che la mia voce venga ascoltata e la mia situazione venga risolta con giustizia e umanità».

La fuga dal regime

Le incongruenze relative al suo caso sono state ricordate durante la conferenza stampa da Grimaldi e Boldrini, affiancati dall'ex senatore Luigi Manconi, presidente di "A Buon Diritto Onlus", da Parisa Nazari, attivista del movimento 'Donna, vita, libertà'' e da Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International. Maysoon è andata via una prima volta dall’Iran nel 2019, dopo essere stata arrestata per via del suo attivismo e dopo aver subito - secondo i suoi legali - maltrattamenti in carcere. Per qualche anno, ha vissuto insieme al fratello nel Kurdistan iracheno, collaborando come attivista con l'associazione Hana, impegnata sul fronte della difesa dei diritti umani. Poi, però, le autorità irachene avrebbero respinto la sua richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno e lei è stata rimpatriata in Iran. A quel punto, lei e il fratello hanno deciso di lasciare definitivamente il Paese, spostandosi in Turchia e poi salendo su un barcone approdato a dicembre 2023 sulle coste calabresi. Il costo dei loro "biglietti" d'imbarco, diverse migliaia di euro, sarebbe stato versato dal padre, che lavora come docente in Iran.

La traversata, l'accusa e l'arresto

Ma, dopo cinque giorni di pericolosa traversata in mare, all'approdo a Crotone, Maysoon è stata arrestata, dopo essere stata indicata da due dei 70 migranti a bordo (ma i due poi avrebbero ritrattato quanto affermato) fra gli scafisti dell'imbarcazione. Formalmente, l'accusa con cui da sette mesi Maysoon è trattenuta in carcere, in custodia cautelare preventiva per un ipotizzato «pericolo di fuga», è quella di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Dopo l'inasprimento delle pene stabilito dalla legge "Cutro", rischia una condanna fino a 16 anni di detenzione, oltre a una sanzione pecuniaria di 15mila euro per ogni persona trasportata e al rimpatrio a Teheran, dove secondo i suoi avvocati potrebbe andare incontro a ulteriori persecuzioni e al rischio della vita.

Lo sciopero della fame

Per denunciare la propria situazione e portarla all'attenzione dell'opinione pubblica, Maysoon ha attuato uno sciopero della fame che l'ha prostrata, facendole perdere decine di chili. I suoi avvocati ribadiscono da mesi come le testimonianze su cui si fonda l'accusa non siano particolarmente attendibili. Laura Boldrini, presidente del Comitato per i diritti umani della Camera dei deputati, nei mesi scorsi è andata a visitarla in carcere e ha preso a cuore il suo caso: «Dalla lotta ai trafficanti, oggi siamo passati alla ricerca di un capro espiatorio purchessia... - conclude, non senza amarezza, la deputata dem -. E ora Maysoon, per un equivoco, rischia di vedere rovinata la propria vita».



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