Il presidente Zaia (in piedi) al consiglio regionale veneto - ANSA
Il Veneto non sarà la prima Regione a legiferare sul suicidio medicalmente assistito. Il Consiglio regionale ha infatti bocciato - dopo 6 ore di confronto d’alto spessore umano ed etico, con la riscoperta del valore del vivere e del morire - il Pdl 217 d’iniziativa popolare sulle “Procedure e tempi per l'assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito”. 25 i voti a favore (del presidente Luca Zaia, da parte della Lega e del centrosinistra, con un’astensione nel Pd). 22 i contrari (Fdi, Forza Italia, e la parte rimanente della Lega e dei consiglieri zaiani), e 3 astensioni (due della Lega) che equivalevano ad altrettanti no. Un consigliere era assente. Non è scattata la maggioranza richiesta di 26 consensi.
La mancata approvazione in Aula dell’articolo 2, “Assistenza sanitaria in ogni fase del percorso di suicidio medicalmente assistito su richiesta della persona malata”, ha reso obbligatorio il rinvio in commissione, deciso con 38 voti favorevoli e 13 assenti. Un esito, dunque, a sorpresa, perché alla vigilia venivano calcolati 27 voti a favore e 24 contrari. Il dibattito è comunque servito a rilanciare la necessità, anzi l’urgenza delle cure palliative e da questo punto di vista in Consiglio si è fatto riferimento all’appello, lanciato qualche mese fa, dai vescovi del Nordest.
I consiglieri intervenuti hanno tenuto lontanissima la polemica politica, anche se è vero che il presidente Luca Zaia rimedia quella che in taluni ambienti della destra veneta viene indicata come una sconfitta, con ricadute persino sul rilancio del terzo mandato. «Mi spiace che qualcuno abbia dato une lettura errata, ovvero che la legge discussa in Veneto “istituiva il fine vita”. Non istituiva niente, ma stabiliva solo i modi e i tempi delle risposte ai malati, e le modalità di coinvolgimento delle Asl. Ma nonostante non sia diventata legge – è stata la sua prima reazione – i malati terminali con determinate caratteristiche sanno che possono presentare le loro istanze per il fine vita, in base alla sentenza della Consulta».
Su posizioni opposte si è schierato lo stesso presidente del Consiglio, Roberto Ciambetti, pure lui della Lega. «Colleghi, decidete e votate come meglio credete – così si è rivolto ai presenti –. Mi rimane un tarlo, e questo lo dico da presidente della Conferenza dei Consigli regionali. Mi auguro che le Regioni non vengano utilizzate esclusivamente come un cavallo di Troia per andare in Corte Costituzionale. Ci sono altri mezzi. Secondo me, questa legge non è di nostra competenza, sarà facilmente impugnata dal Governo. Vedremo che cosa dirà la Corte Costituzionale. Però non vorrei essere il mezzo, e il mezzo istituzionale, per altri sbocchi».
Ciambetti in questo, aveva rilanciato la preoccupazione di altri due autorevoli leghisti, l’avvocato Roberto Bet e Marzio Favero, che appassionatamente avevano invitato i colleghi del Consiglio a ridare valore alla morte come componente della vita stessa. E Bet ha precisato: «Non trovo un passaggio della sentenza della Corte Costituzionale che ponga, in capo al Servizio sanitario, un obbligo di prestazione al suicidio medicalmente assistito. Invece, questo obbligo di prestazione verrebbe introdotto dalla proposta normativa in esame: siamo sicuri che possiamo legiferare su un terreno che non è di nostra competenza? Credo che ci potremmo esporre a un rischio di incostituzionalità».
Ma se l’assemblea ha detto di no al suicidio assistito, ha invece detto di sì, ancora una volta, alle cure palliative. Anna Maria Bidon, del Pd, unica astenuta del suo partito, ha dato voce al “diritto” alle cure palliative, assieme ad altri colleghi, osservando che passa proprio da qui l’autodeterminazione più vera della persona.
Se il presidente Zaia aveva riportato in Aula i dati molto limitati delle richieste di suicidio assistito (soltanto 6, di cui 4 respinte dalle Aziende sanitarie perché immotivate, una con esito mortale, l’altra invece stoppata dall’interessato), la consigliera Bigon ha ricordato che sono più di 40 mila i pazienti in Veneto che hanno bisogno delle terapie anti dolore e che solo il 40 per cento vi ha accesso.
Ma l’assessore Manuela Lanzarin al riguardo ha obiettato: «Il Veneto ha avuto, da sempre, un’attenzione molto forte sul fronte delle cure palliative, anticipando la disciplina nazionale e investendo molte risorse. In materia, siamo la prima Regione per servizi garantiti, anche se sono consapevole che si può fare di più. Abbiamo messo in campo tutte le procedure previste: l’accreditamento, il rafforzamento della rete e del coordinamento delle cure palliative, la commissione regionale chiamata ad esprimersi. È in previsione l’aumento dei posti negli hospice e il potenziamento delle cure domiciliari, la creazione di una unità domiciliare per le cure palliative, minimo una per ogni distretto sociosanitario. Verranno uniformate tutte le procedure funzionali a prendere in carico le persone fragili. E ribadisco – ha concluso – la necessità di un intervento normativo a livello nazionale che disciplini il ruolo dei caregiver»