giovedì 8 novembre 2012
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«Ogni festa nasce dalla concorrenza di due fattori: un evento importante da vivere e il bisogno di ritrovarsi per celebrarlo gioiosamente insieme. Tale è anche la domenica del cristiano». L’evento, così decisivo «da meritare di essere commemorato e celebrato ogni settimana», è la Risurrezione. Che, «per sua natura, e per espressa volontà di Cristo», non può «che essere vissuto comunitariamente».Poggia su questo pilastro introduttivo la nota della Conferenza episcopale italiana, Il Giorno del Signore, datata 15 luglio 1984. Si tratta di uno dei documenti più interessanti del corposo magistero Cei dedicato al tema "Custodire la domenica". «Astenersi dal lavoro e dalla fatica – recita il testo –, deporre la tristezza delle cure quotidiane, oltre che costituire la condizione indispensabile per partecipare alla festa comune, diventa affermazione del trionfo della vita, del primato della gioia». Con lungimiranza, consapevoli di una deriva culturale già in atto, quasi 30 anni fa, i vescovi scrivono: «La domenica dell’uomo secolarizzato non è la stessa del cristiano... La cultura contemporanea ha svuotato la domenica del suo significato religioso originario».A un anno dal 24° Congresso eucaristico nazionale di Bari del 2005 (Senza la domenica non possiamo vivere), la Cei diffonde la Nota pastorale Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia. «Le nostre parrocchie – vi si legge – non si stanchino di ribadire a ogni cristiano il dovere-bisogno della fedeltà alla Messa domenicale e festiva e di vivere cristianamente la domenica e le feste». La vita della parrocchia, aggiungono i pastori, «ha il suo centro nel giorno del Signore e l’Eucaristia è il cuore della domenica. Dobbiamo "custodire" la domenica, e la domenica "custodirà" noi e le nostre parrocchie». Sempre prima di quel Congresso, la Commissione episcopale Cei per i Problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, pubblica la nota pastorale Frutto della terra e del lavoro dell’uomo. Mondo rurale che cambia e Chiesa in Italia (2005): «Questo è il giorno che dà significato a tutti gli altri – è affermato nel testo –. È il giorno della festa, che libera l’uomo dalla assolutizzazione del lavoro e del profitto e lo orienta a relazioni più intense, con se stesso, con la famiglia, con gli altri e con Dio».Il 2007 è l’anno della nota pastorale Rigenerati per una speranza viva" (1 Pt 1,3): Testimoni del grande "sì" di Dio all’uomo, in cui rischi ed esigenze dell’uomo moderno vengono così declinati: «Il rapporto con il tempo... pone forti provocazioni al credente, condizionato dai vorticosi cambiamenti sociali e tentato da nuove forme di idolatria. Occorre chiedere che l’organizzazione del lavoro sia attenta ai tempi della famiglia e ad accompagnare le persone nelle fatiche quotidiane, consapevoli delle sfide che derivano dalla precarietà del lavoro, soprattutto giovanile, dalla disoccupazione, dalla difficoltà del reinserimento lavorativo in età adulta, dallo sfruttamento della manodopera».Chiaro il richiamo contenuto nella Lettera ai cercatori di Dio (2009) della Commissione episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi: «Tra domande e risposte che toccano il lavoro e la nostra responsabilità verso gli altri e verso il creato, trova collocazione un’esigenza che è ormai patrimonio di quasi tutta l’umanità, almeno sul piano teorico. La tradizione cristiana la sottolinea con forza: è l’esigenza del riposo e della festa» E l’anno dopo, la Cei, negli Orientamenti Educare alla vita buona del Vangelo, ribadisce che «la capacità di vivere il lavoro e la festa come compimento della vocazione personale appartiene agli obiettivi dell’educazione cristiana».Perentorio il riferimento al tema, contenuto nella prolusione del presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, ai lavori del consiglio episcopale permanente del gennaio scorso: «Non è assolutamente indifferente né efficace parcellizzare il tempo del riposo in base alle leggi del mercato. La domenica, che nella tradizione del nostro Paese è dedicata alla famiglia e, se cristiana, al Signore nella comunità, non può essere sacrificata all’economia».
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