(Ansa)
L’ultimo caso è venuto alla luce ieri, con l’arresto di un’educatrice di 52 anni, che gestiva un “nido domiciliare” a Siena dove, secondo le accuse che hanno portato la donna prima in carcere e poi ai domiciliari, i bambini subivano maltrattamenti e percosse, ma anche alimentazione forzata. Le indagini sono partite dalla denuncia di due mamme e le intercettazioni ambientali avrebbero confermato il quadro preoccupante all’interno della struttura. I militari sono intervenuti quando l’educatrice ha messo una bambina sul passeggino nel terrazzo. Il pianto della piccola e le urla della donna hanno attirato l’attenzione dei passanti e fatto scattare l’operazione.
Quest’ultimo episodio ha riacceso il dibattito sull’opportunità di dotare di telecamere asili nido e scuole materne (oltre alle case di riposo), come strumento di prevenzione delle violenze ai danni di bambini e anziani. Una soluzione che, però, non convince il medico Vittorio Lodolo D’Oria, massimo esperto di burnout e stress lavoro correlato degli insegnanti, patologie alle quali Lodolo associa l’escalation di violenze nelle scuole. Un fenomeno in preoccupante crescita, come documentato da una ricerca, la prima del genere in Italia, resa nota da Lodolo D’Oria proprio ieri.
Setacciando il web con un apposito motore di ricerca, il medico ha raccolto i dati di tutti gli episodi di presunti maltrattamenti a scuola nel quinquennio 2014-2018, arrivando fino al mese di gennaio di quest’anno. Complessivamente, i casi sono stati 78 con un totale di 156 docenti indagati (di cui 2 uomini), ripartiti in 9 nidi comunali, 53 scuole dell’infanzia e 16 scuole primarie. Dal 2014, gli episodi sono stati sempre più numerosi e, in particolare, sono triplicati tra il 2015 al 2016 (passando da 8 a 22), mentre a gennaio di quest’anno si sono già avuti quattro casi.
Nella grande maggioranza dei casi, l’87%, a sporgere denuncia sono stati direttamente i genitori, mentre sei episodi sono stati segnalati dai colleghi insegnanti, due casi dai collaboratori scolastici e in un solo caso le violenze sono venute alla luce dopo la denuncia del dirigente scolastico.
Nell’81% dei casi il reato ipotizzato a carico delle maestre è “maltrattamenti”, mentre per il 19% si tratta di “abuso dei mezzi di correzione”. Mediamente, le indagini con le telecamere posizionate nelle scuole sono durate 67 giorni, con un minimo di 15 giorni di riprese e un massimo di quattro mesi. Sotto osservazione, il comportamento di insegnanti ed educatrici con un’età media tra i 55 e i 56 anni, in abbassamento tra il 2017 e il 2018, anche se, i casi del 2019 finora registrati, hanno riguardato donne con un’età media di 59 anni.
«È evidente la progressione dei casi di presunte violenze con l’aumentare dell’età delle insegnanti – osserva Vittorio Lodolo D’Oria –. Viene così definitivamente a cadere l’ipotesi che i maltrattamenti abbiano luogo per innata “indole malvagia” delle maestre anziché per sfinimento e logorio psichico professionale. Se la causa di tutto fosse infatti “l’indole malvagia” del docente, avremmo un’età media molto più bassa perché l’insegnante sarebbe “cattivo” coi bimbi fin dall’inizio della sua attività. Eppure – osserva l’esperto – solo da poco è stata riconosciuta come “usurante” la professione delle maestre della scuola dell’infanzia».
I rilievi di Lodolo D’Oria riguardano anche l’utilizzo delle telecamere come strumento di indagine e deterrente ai maltrattamenti. «Le telecamere – osserva Lodolo D’Oria – presentano numerosi limiti sui quali gli stessi giudici operano chiari richiami nei procedimenti giudiziari. La prima riguarda i tempi lunghi di registrazione, quasi che la “pesca a strascico” fosse l’unico criterio d’indagine adottato. C’è poi il problema della selezione delle immagini, della decontestualizzazione degli episodi e della drammatizzazione delle trascrizioni. Tutte operazioni effettuate da non-addetti-ai-lavori che nulla sanno e conoscono di educazione-insegnamento- pedagogia-sostegno alla disabilità in ambiente scolastico. Infine – conclude Lodolo D’Oria – le telecamere non aiutano a capire i motivi scatenanti dei maltrattamenti che, come dimostro nella ricerca, risiedono nell’età avanzata delle insegnanti e nella loro usura psicofisica. Su questo dovrebbero lavorare le istituzioni, a partire dal Miur, per tutelare una categoria professionale ingiustamente sofferente ed esposta alla gogna mediatica».