
Senzatetto in piazza Duomo a Milano - Fotogramma
Nell’immaginario comune, è l’inverno la stagione più dura. Ma non è solo così che si muore in strada: per i senza dimora, la criticità più forte è la salute. Sia la presa in carico delle fragilità - dalle cronicità alle dipendenze - che l’accesso a percorsi terapeutici sono sfide quotidiane rese evidenti dalle tragedie. L'anno scorso a Milano sono morte 23 persone senza dimora (seconda città d’Italia dopo Roma, che ha contato 31 vittime), in tutta la Lombardia ne sono decedute 78 (prima regione del Paese).
Nell’aspra contabilità umana censita dalla Fio.Psd, la federazione degli organismi per le persone senza dimora che ha appena pubblicato il nuovo report “La strage invisibile”, scorre la fotografia di un fenomeno complesso. Guardando ai dati lombardi, ad esempio, 34 persone sono morte a causa di malattia o di malore, 33 per traumi (aggressioni, incidenti), una decina per abuso di sostanze. Si muore appunto non solo per il freddo in inverno o per il caldo estremo in estate: in Lombardia i mesi peggiori per numero di vittime sono stati infatti aprile, maggio e settembre. I dati del 2024 sono sostanzialmente in linea con quelli dell’anno prima, quando a Milano morirono 22 senza dimora e nell’intera regione 86; dall’inizio del 2025 sono invece nove le vittime lombarde, di cui tre nel capoluogo.
L’elemento evidente, ragiona Alessandro Pezzoni, vicepresidente della federazione e responsabile dell’area grave emarginazione di Caritas Ambrosiana «è che le persone non muoiono solo d’inverno, e Milano ha un piano freddo adeguato. I dati sulla Lombardia sono complessivamente alti, anche perché Milano è la città d’Italia che ha il maggior numero di servizi, e questo comporta una maggior presenza di persone senza dimora. Ma sono numeri che non ci fanno stare tranquilli». È la salute la frontiera più delicata: «l’accesso ai servizi di emergenza è garantito a tutti, anche agli stranieri senza permesso di soggiorno – osserva Pezzoni –. Il tema vero è quello che c’è prima e dopo l’emergenza: sarebbe importante migliorare l’offerta delle unità di strada di tipo sanitario e psicologico, perché è in strada che vanno agganciate queste persone».
A Milano, gli ultimi dati parlano di 2.600 persone che vivono in strada. «La distribuzione dei decessi durante l’anno conferma il fatto che alla base c’è una questione di fragilità e di patologie – ragiona Lamberto Bertolé, assessore al Welfare del Comune di Milano -. Con il “piano freddo”, in questi primi due mesi abbiamo accolto circa 530 persone, con una quota significativa di persone al primo accesso. Significa che è in corso un cambiamento tra chi vive in strada: c’è un numero alto di persone di origine straniera in condizioni di marginalità, anche per via di norme e politiche migratorie totalmente inadeguate, che alimentano ulteriore marginalità». Sulla salute dei senza dimora, il Comune «ha avviato un progetto per occuparci del post acuzie, cioè dopo un ricovero in ospedale, cercando di rafforzare le dimissioni protette – prosegue Bertolé -. Molte delle persone senza fissa dimora hanno una residenza fittizia che permette loro di richiedere il medico di base: il punto è rendere questo diritto davvero esigibile, facendo in modo che ce l’abbiano davvero». Non è semplice, in un periodo dove la medicina territoriale sconta un’erosione costante di camici bianchi. «C’è uno sforzo molto importante insieme al Terzo settore per un progetto sull’integrazione tra unità mobili, luoghi di accoglienza e centri diurni – spiega l’assessore –. La strategia cittadina ha come perno il Centro Sammartini, dove lavorano oltre 30 persone, per organizzare il sistema di risposta alla grave marginalità. Ma l’obiettivo è ragionare anche su centri più piccoli e capillari e sviluppando anche l’housing first, ovvero l’accoglienza in appartamento».