La premier Meloni con il ministro Nordio - Ansa
La notizia sono io. C’est moi. Giorgia Meloni si rimette ancora una volta al centro della scena e brucia qualsiasi comunicazione ufficiale, annunciando di essere indagata direttamente con un video su Meta. Gioca d’anticipo sui tempi della magistratura e delle Procure, per annullare l’effetto sorpresa e per dimostrare di essere in grado di governare mediaticamente l’ennesimo caso giudiziario che si abbatte sull’esecutivo.
L’importante è dare l’impressione di dominare la scena, con posa studiata e tradizionale eloquio. La notizia è dunque ancora una volta Meloni. Che ribadisce di voler affrontare l’ennesima tempesta mediatica come ha fatto in altri casi, evitando che fughe di notizie, retroscena e reazioni possano mettere in dubbio la sua leadership. Ricordate il caso dell’ex compagno Giambruno, da cui si era separata mediante annuncio analogo? Anche allora l’obiettivo fu spegnere polemiche e ricostruzioni sul nascere, mettendo a tacere il gossip. Obiettivo raggiunto, peraltro.
La strategia mediatica adesso è la stessa: chiudere il caso prima che esploda, chiamare la reazione eccitata dei sostenitori e provocare ad arte l’opposizione, molto abile nel cadere in trappola. Il resto del copione è noto, compresa l’arte tutta italica di descriversi come vittima, oltre all’indicare al pubblico ignaro i presunti misfatti della Corte penale internazionale, di magistrati e avvocati coinvolti nella vicenda. Non fa nulla se il racconto è di parte e magari si sorvola sui curriculum delle persone evocate (l’avvocato Li Gotti ad esempio ha avuto trascorsi nel Msi e in Alleanza nazionale, mentre viene presentato come legale di boss mafiosi e collaboratore di Romano Prodi). Ciò che conta è dettare l’agenda, contenuti compresi. Le toghe non hanno passato le carte, in questo caso, e la politica 2.0 non vuole aspettare.
Lo scontro di poteri, dunque, si arricchisce dell’ennesimo cortocircuito ma la novità stavolta è che comanda chi dà la notizia. Chissà cosa avrebbe fatto Silvio Berlusconi nel 1994 se ci fossero stati i social: la notizia del suo avviso di garanzia arrivò dalla stampa, mentre l’allora presidente del Consiglio si trovava a Napoli per una Conferenza dell’Onu sulla criminalità organizzata. Era uno scoop quello del “Corriere della sera” che imbarazzò pesantemente il Cavaliere. Allora prevalsero rumors, silenzi e soltanto dopo ci fu la veemente reazione che scatenò la guerra dei mondi tra Procure e governo. Lo scenario è rimasto quello, ma i tempi dello scontro adesso vuole dettarli Palazzo Chigi.