Le persiane chiuse rappresentano un binocolo straordinario per chi osserva tutto senza essere visto. Chissà in quanti a Brancaccio, dietro a quelle tapparelle verdi o marroni, si sono goduti lo spettacolo della calata delle istituzioni su quel terreno spoglio che accoglierà il primo asilo nido del quartiere, per poi vederlo violato da babyteppisti e illuminato dal rogo di mobili vecchi, in una “vampa” di San Giuseppe accesa un po’ in anticipo.
Una, due, sei incursioni oltre l’inferriata in due giorni, spezzando più volte catene e catenacci, riportando dentro spazzatura, che gli operai comunali avevano provveduto a rimuovere per restituire pulizia e dignità a un altro pezzo della difficile periferia palermitana. Qualcuno, approfittando del buio della sera e del totale isolamento di questo tratto di via Brancaccio, un tempo accesso ai passaggi a livello per “scendere in città”, oggi primo avamposto del rione dopo il moderno cavalcavia, si è pure affacciato al balcone per incoraggiare i ragazzini piromani: « Adduma, adduma! » («Accendi, accendi»). Tracce di chi pretende che nulla possa mai cambiare e vuole affermare che quel terreno non deve appartenere a nessun altro.
Eppure, a una rapida lettura, viene da chiedersi: che valore può mai avere quel fazzoletto di terra brulla, circondato da piccoli edifici dell’antica borgata, ruderi, sullo sfondo palazzoni in cemento e una vecchia fabbrica confiscata alla mafia e abbandonata? Cosa può mai giustificare ostilità di fronte a un progetto di rinascita così bello, sognato da don Pino Puglisi? Il sacerdote martire, ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993, vedeva nell’asilo nido uno dei servizi fondamentali per far crescere i bambini del quartiere lontano dai pericoli della strada e della criminalità.
Assieme alla scuola media, ai campi sportivi, ai locali parrocchiali, al consultorio: luoghi di costruzione dei diritti. Per questo il Centro di accoglienza Padre Nostro, fondato dal beato Puglisi, sta lottando assieme alle istituzioni perché il sogno diventi realtà. Ma il clima sembra ostile.
I primi danneggiamenti sono comparsi meno di ventiquattr’ore dopo la festa di consegna del progetto al Comune. Striscioni strappati e gettati a terra, catena e lucchetto spariti, una se- dia in pezzi e minacce al presidente del Centro Padre Nostro. Tre ragazzini di circa 10 anni che, al richiamo di Artale di andare via dal terreno, hanno replicato: «Tu cu sì? Unn’è u tuo u tirrienu e ccà tu asilo un ni costruisci » («Tu chi sei, il terreno non è il tuo e qui tu asilo non ne costruisci»).
Poi sono tornati, hanno spezzato di nuovo la catena, hanno appiccato il fuoco alla sedia rotta, accumulando altri pezzi di mobili vecchi ai margini, carburante prezioso per un falò più ricco. Sono passati davanti alla sede del Centro Padre Nostro, rompendo uno dei due vasi che ornavano l’ingresso. Non contenti, domenica sera un ragazzino è stato individuato dai carabinieri mentre era intento ad appiccare il fuoco. Uno stillicidio che fa scattare l’allarme tra gli operatori sul territorio, terra di missione per associazioni e parrocchia, per docenti e volontari. I presidi delle scuole sono basiti.
«Apprendere che gli autori di questi raid siano bambini è disarmante » afferma Palma Sicuro, dirigente scolastica della Orestano, 650 bambini tra infanzia e primaria a due passi dalla parrocchia San Gaetano. «Qualcuno ha mandato i bambini per dare un messaggio preciso? È inquietante – dice –. Ne parlerò con i miei docenti, chiederò loro di affrontare l’argomento in classe. La nostra missione è quella di don Puglisi. Fare in modo che i più piccoli possano frequentare il nido significa creare terreno favorevole alla legalità».
«Siamo sbigottiti», e sì che Andrea Tommaselli, preside dell’istituto comprensivo Padre Pino Puglisi, 870 alunni in vari plessi, ne ha viste di cose in questi anni. «Il lavoro che facciamo ogni giorno cerca di incidere proprio su questi ragazzini, ma c’è qualcosa che non torna. Noi operiamo a scuola, ma la famiglia dov’è? – dice –. Quello che è accaduto va interpretato, dobbiamo agire e reagire. Se questi raid sono da associare a qualcosa di più grave, se i ragazzi sono stati mandati da qualcuno, è veramente terribile. Se hanno agito autonomamente, è grave ugualmente, perché non sono capaci di rispettare un luogo che è di tutti. Come scuola dobbiamo essere presenti in questo momento difficile, organizzeremo un’iniziativa comunitaria sul terreno del futuro asilo».
L’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice, manifesta la sua solidarietà: «I bambini non sono cosa nostra e non sono di Cosa nostra. Queste intimidazioni ci dicono che siamo sulla strada giusta. Mi vengono in mente le parole di don Pino Puglisi, quando durante un’omelia disse ai responsabili delle intimidazioni: 'Venite, parliamone'. L’asilo nido si farà e ricorderà a tutti che i bambini sono figli di Dio, che devono vivere nella piena libertà, non devono essere strumentalizzati ». Il parroco di San Gaetano, don Maurizio Francoforte, interpreta ciò che è accaduto: «Non basta una manifestazione, bisogna prendere possesso del territorio e fare in modo che ci sia un presidio costante. Per questo chiedo che il terreno accanto, che appartiene pure al Comune, possa essere trasformato in un parcogiochi per i bambini di quella zona. Noi ce ne occuperemo».