sabato 30 dicembre 2017
Non impartiva lezioni ma dava esempi. E scioperava alla rovescia. Daniele Novara ricorda le battaglie civili nella Sicilia occidentale
Daniele Novara con Danilo Dolci in una foto degli anni Novanta

Daniele Novara con Danilo Dolci in una foto degli anni Novanta

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Danilo Dolci se n’è andato il 30 dicembre 1997. Figura centrale nell’Italia civile del dopoguerra e non solo. Dopo aver passato due anni nella comunità di Nomadelfia con don Zeno Saltini nel 1952, ancora molto giovane, Danilo Dolci si trasferisce definitivamente nella Sicilia occidentale, tra Partinico, Trappeto e Montelepre.

Colpito dalla miseria delle condizioni di vita degli strati più deboli della popolazione siciliana, vittima della mafia e del sottosviluppo, dà vita ad alcune iniziative ispirate alla nonviolenza gandhiana, che hanno assunto un ruolo molto importante nella storia del nostro paese e che, in quegli anni, fanno il giro del mondo. La sua presenza inizia con un clamoroso digiuno pubblico nel letto dove era morta di fame una bambina per richiamare l’attenzione su un pezzo di Sicilia davvero abbandonata e depredata.

L’Italia civile gli dà credito e si schiera al suo fianco con personalità di notevole spessore, tra cui Carlo Levi, Aldo Capitini, Ignazio Silone e Norberto Bobbio. Nel 1956 la sua azione s’impone all’opinione pubblica, anche internazionale, trovando il sostegno di importanti intellettuali dell’epoca quali Erich Fromm, Bertrand Russell, Johan Galtung, Jean Piaget, l’Abbé Pierre e molti altri. Con un centinaio di disoccupati realizza il primo sciopero alla rovescia, andando al mattino presto a ripristinare una vecchia trazzera (tratturo che attraversa i campi) comunale nei pressi di Partinico. Le forze di polizia, già preallertate, lo arrestano e insieme a lui anche i suoi principali collaboratori. Dopo due mesi di carcere si apre il processo in cui viene difeso dal grande Piero Calamandrei, uno dei giuristi che hanno maggiormente contribuito alla stesura della nostra Costituzione. Con un’arringa clamorosa inverte la presunta colpevolezza di Danilo Dolci in un atto di reale giustizia riuscendo ad ottenere la sua assoluzione. Ancora oggi lo sciopero alla rovescia resta il contributo italiano più importante nella storia delle pratiche di nonviolenza nel mondo.

Negli anni successivi è impegnato nello sviluppo economico e civile della Sicilia occidentale. Con libri, ricerche e denunce, insieme ai collaboratori del Centro Studi e Iniziative, ottiene la realizzazione della diga sul fiume Jato che crea le condizioni per una rinascita economica del territorio. All’inizio degli anni Sessanta Danilo Dolci denuncia per la prima volta in modo pubblico e dettagliato il coinvolgimento sistematico della politica nel fenomeno mafioso. Raccoglie centinaia di testimonianze scritte e firmate di persone che liberamente fanno nomi e cognomi dei politici coinvolti. Si tratta di nomi molto importanti, esponenti di spicco del governo Moro in carica in quel momento. Il presidente del Consiglio è costretto a chiederne le dimissioni. Ma nel processo per diffamazione Dolci viene condannato anche perché gli viene a mancare l’appoggio corale che lo aveva sostenuto nelle sue iniziative degli anni Cinquanta.

La sua ultima battaglia nonviolenta pubblica avviene nel 1970 a favore dei terremotati del Belice che, a due anni dal sisma, sono costretti a vivere ancora in baracche fatiscenti. Per la prima volta viene sfidato il monopolio della radio tv italiana: la mattina del 25 marzo 1970 iniziano le trasmissione di Radio Partinico Libera, prima radio libera italiana, per dare voce ai disperati del terremoto. Ventisette ore dopo, le forze dell’ordine fanno irruzione nel palazzo del Centro Studi e Iniziative e interrompono le trasmissioni.

Da quel momento il lavoro di Dolci si concentra, oltre che sulla cura della sua importante produzione poetica, sui progetti strettamente educativi. Anzitutto nel 1974 l’apertura del centro sperimentale di Mirto dove i bambini sono educati con un metodo nuovo, basato sulla Maieutica, ossia sulla possibilità di autodeterminazione e sulla ricerca creativa. Conosco Danilo Dolci in quella fase della sua vita. Era il 1982 e, durante il mio servizio civile, partecipai a Parma a un incontro che lui stesso aveva voluto per noi obiettori di coscienza. In due ore non ci fu alcun discorso ma ascoltò con attenzione, prendendo appunti, tutte le nostre esperienze. Fu un incontro benevolmente scioccante. Poi volle venire a Piacenza per visitare la Casa-accoglienza che avevo fondato con altri giovani per aiutare persone in difficoltà. Per dieci anni ho continuato a mescolarmi alla sua vita e al suo pensiero. Danilo Dolci girava spesso nelle scuole e, dopo aver letto una sua poesia, chiedeva ai ragazzi: «Qual è il tuo sogno?». Venivano fuori risorse inesplorate, desideri rimasti imbrigliati nel puro e semplice conformismo scolastico. Mi incoraggiò anche nel lavoro sull’educazione alla pace e sulla buona gestione dei conflitti, sostenendomi nella creazione del Cpp, il Centro psicopedagogico che dal 1989 dirigo. Non posso che ricordarlo con un brano di una delle sue poesie più note che celebra in pieno lo spirito che lo ha animato e che ha sempre saputo comunicare a chi, come me, ha tratto ispirazione dalla sua persona e dai suoi libri per vivere con coraggio la propria vocazione educativa.

C’è pure chi educa, senza nascondere

l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni

sviluppo ma cercando

d’essere franco all’altro come a sé,

sognando gli altri come ora non sono:

ciascuno cresce solo se sognato.

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