Nel silenzio surreale di Roma nei giorni di festa, Giuseppe Conte riceve sul telefono di casa il «sì» che attendeva da giorni: quello di Donatella Bianchi, ufficialmente candidata del Movimento cinque stelle alla Regione Lazio. Per l’ex premier è la sfida e la priorità dei prossimi 40 giorni, una competizione elettorale regionale che diventa del tutto simile, nelle sue aspirazioni, a quella nazionale di settembre, con i pentastellati che proveranno di nuovo a raccogliere voto identitario, di protezione sociale, ambientalista e «progressista».
Poco importa se l’approdo sarà, probabilmente, l’opposizione, ciò che conta è rafforzare il «profilo politico» del nuovo corso. E Donatella Bianchi, dice soddisfatto Conte, «incarna perfettamente i valori del Movimento, rappresenta al meglio il nostro programma politico, sociale ed ambientale ed è un nome condiviso con le altre forze politiche, sociali e civiche con cui stiamo condividendo il percorso, a partire da Coordinamento 2050».
Con l’ingresso in campo della ex presidente del Wwf e volto noto Rai per i programmi a impronta ecologica - già chiamata dall’ex premier nella task-force di esperti per il rilancio post-Covid -, Conte mette la parola “fine” a ogni residua possibilità di correre con il Pd e il centrosinistra a sostegno di Alessio D’Amato.
Mentre in Lombardia è confermato il sostegno al candidato dem Pierfrancesco Majorino che «ha dato garanzie sulle nostre richieste programmatiche», a partire, spiega Conte, dalla «questione morale» che deve concretizzarsi nella «qualità delle liste» e da strumenti regionali di contrasto alla povertà come risposta allo «smantellamento scientifico del Reddito di cittadinanza a opera del governo».
Sul Reddito restate in trincea, o vi siete “rassegnati” alla forte cura dimagrante imposta dall’esecutivo?
Se non avessimo alzato il livello di guardia lo avrebbero cancellato subito. Noi continueremo a difenderlo in tutte le sedi istituzionali e a dire che questo pervicace accanimento verso i poveri e verso i nostri ragazzi porterà a un disastro sociale. Lo Svimez dice che con la crisi avremo 700mila nuovi poveri. Siamo anche pronti a confrontarci sul miglioramento del Reddito, ma non ci spero sinceramente. Perché la manovra parla chiaro, ha dei segnali chiarissimi.
A cosa si riferisce? Quali segnali?
Nei giorni del varo della manovra alla Camera mi è apparso chiaro che questa maggioranza è molto divisa internamente, ma si cementa su tre punti. Il primo, l’accanimento verso chi è in difficoltà, ai quali togliere non solo la possibilità di accedere al Reddito, ma anche l’idea stessa di aspirare ad un lavoro degno. L’ho chiamato “schiavismo 2.0”. E poi trovano convergenza su un secondo punto, quando devono aprire autostrade a evasori, corruttori, comitati d’affari, con il risultato di costruire una giustizia censitaria che accarezza affaristi e corruttori mentre è inflessibile con le persone normali. Terzo punto: sono assolutamente determinati ad assecondare l’escalation militare e ad ingrassare l’industria bellica.
Si potrebbe replicare che un governo di centrodestra, o destra che dir si voglia, assume misure che vanno in una determinata direzione politica. Lei però parla di “segnali”, in che senso?
Sarò franco e chiaro: mi sembra che questa manovra dica ai comitati d’affari “ora ci siamo noi, potete dormire sonni tranquilli”. Quindi non solo è una manovra pavida, sottomessa alle regole dell’austerity, ma è anche una manovra ingiusta che aumenterà le disuguaglianze sociali. E la conferma arriva dal nuovo Codice degli appalti e dalla rimozione di presidi di legalità: scelte che espongono i 200 miliardi del Pnrr a un assalto alla diligenza da parte di criminalità e malaffare.
Restando sul Reddito: non tocca anche a voi, all’opposizione, fare proposte costruttive? Prima della battaglia politica c’è in gioco il futuro di milioni di persone, di tantissime famiglie.
Come ho detto non ci arrenderemo. Ma dove collaboriamo al governo, come in Puglia, e dove governeremo, noi costruiremo strumenti analoghi al Reddito di cittadinanza.
Meloni e gli alleati governano con qualche mese di anticipo rispetto a quella che sarebbe stata la scadenza naturale della legislatura. Draghi ha detto in un’intervista al Corriere della sera che gli sarebbe piaciuto completare il suo lavoro. Non ha da rimproverarsi qualcosa sulla situazione politica che ora denuncia?
Ma semmai io registro che non è cambiato nulla, o poco, da Draghi a Meloni. Gli stessi elettori di Fdi non hanno certo votato per avere questa manovra pavida e ingiusta, non hanno certo votato l’attuale presidente del Consiglio perché accontentasse qualche categoria di riferimento.
Il Paese corre rischi sull’attuazione del Pnrr?
In questi giorni rifletto su due fatti nuovi: il modo accorato con cui la premier Meloni sottolinea l’importanza del Pnrr, e questo mi costringe a ricordare che con il suo partito, Fdi, non avremmo mai avuto questa opportunità visto che loro si sono sempre astenuti. Vedo pure che ora si sono resi conto che servono un gran numero di competenze, ma ricordo che all’epoca fecero le barricate contro di me per una task force di 300 persone. Draghi ne ha previste oltre mille e ancora non riusciamo ad avere tutte quelle competenze necessarie a supportare le amministrazioni.
Negli ultimi giorni di esame della manovra alla Camera le opposizioni hanno mostrato una certa compattezza nel respingere proposte considerate irricevibili, come lo scudo penale agli evasori. Considerando che, come lei dice, questa maggioranza sa come e dove cementarsi per andare avanti, non dovrebbe lavorare anche per lei per una maggiore unità con Pd e Terzo polo? Non si dovrebbe costruire sin da ora un’alternativa di governo?
Per costruire qualcosa bisogna condividere gli obiettivi. Chiariamo subito un punto: è difficile farlo con chi è già predisposto a fare da stampella alla maggioranza. È difficile farlo anche con un Pd in mezzo al guado, sospeso tra il rischio di non cambiare nulla e la decisione di imboccare una radicale svolta politica.
Lei pensa che un’affermazione di Schlein su Bonaccini possa avvicinare Pd e Movimento?
Non entro e non entrerò nei nomi, sarebbe sbagliato. Il mio compito di presidente del Movimento cinque stelle è osservare se il processo politico in corso nel Pd è fittizio o sostanziale. Ed è un’analisi che prescinde, ripeto ancora, dai nomi.
Nel nuovo anno la maggioranza dovrebbe mettere sul tavolo due dossier: autonomia e presidenzialismo. Come vi comporterete?
Ci opporremo senza riserve a un progetto divisivo come quello di Calderoli, che aumenta profondamente le disuguaglianze e divide il Paese. Sulle riforme costituzionali ritengo che la proposta del presidenzialismo rischia di essere velleitaria e di non rispondere alle esigenze del Paese. Quando ci sarà un tavolo di confronto noi diremo una cosa semplice: individuiamo quali sono i problemi e costruiamo le risposte.
Ci sono dunque problemi istituzionali sui quali M5s vede la necessità di un intervento riformatore?
Ci trasciniamo da anni due problemi: l’instabilità dei governi e la farraginosità dell’iter legislativo. In un confronto serio nessuno dovrebbe arrivare con la ricetta in tasca, ma con la disponibilità a un confronto serio e serrato che ha a che fare con la stabilità e il futuro della nostra democrazia. Con questo spirito andremo al tavolo delle riforme, senza buttare la palla in tribuna. Ma se proveranno a imporre il presidenzialismo, reagiremo nelle istituzioni e nel Paese.
Tra meno di due mesi arriveremo a un anno di guerra. Il governo ha varato un nuovo decreto per autorizzare futuri invii di armi, voi che posizione avrete in aula?
Intanto voglio ribadire che noi non abbiamo mai autorizzato per cinque volte cinque diversi invii di armi. Una sola volta abbiamo votato il decreto di sostegno all’Ucraina, datato marzo 2022. Poi la situazione è costantemente cambiata. I primi invii servivano a riequilibrare l’asimmetria militare tra Ucraina e Russia. Oggi proseguire su questa strada significa favorire l’escalation. L’unica alternativa alla carneficina è un negoziato per una pace credibile, giusta e duratura. Nessuna resa di Kiev, ma bisogna fermare l’escalation militare.
Quindi voterete no al decreto?
Noi non autorizzeremo nuovi invii di armi.
Potrebbe arrivare presto in aula la ratifica della riforma del Mes, cui lavorò il suo governo. Cosa si aspetta dalle Camere?
Mi lasci sorridere: quando contribuimmo alla riforma del Mes chi ora governa mi accusò di alto tradimento. Ora che tocca a loro provano a giocare la carta dell’ambiguità - “noi non lo chiederemo mai, però la ratifica...” -, e questa vicenda dimostra la loro enorme incoerenza.
Torniamo all’inizio, alle Regionali di febbraio: non è contraddittorio il posizionamento di M5s, alleati col Pd in Lombardia e avversari nel Lazio?
Nel Lazio D’Amato è stato il punto di caduta del Pd dopo una guerra interna tra correnti e capibastone. Noi avevamo fatto delle richieste programmatiche, loro il giorno dopo ci hanno risposto con il diktat su un nome senza neppure accettare una discussione sui temi. Mentre la nostra candidata, come avevo promesso, va oltre gli schieramenti.