«Ulteriori richieste di mandato di cattura sono state presentate ai giudici indipendenti della Corte penale internazionale». Per la prima volta un procuratore della Corte penale internazionale (Cpi) si è recato in Libia e da Tripoli Kharim Khan ha annunciato al Consiglio di Sicurezza di avere emesso numerosi mandati per crimini di guerra, crimini contro i diritti umani e crimini contro i migranti. I nomi dei destinatari sono ancora coperti da riservatezza, in attesa che il Tribunale dell’Aja convalidi la richiesta della procura. Quando le richieste diventeranno ordini d’arresto in campo internazionale, molti governi - tra cui Italia, Malta, Francia, Turchia, Russia - avranno più di un imbarazzo a cooperare nella cattura di personaggi con cui non sono mancate interessate strette di mano.
Da quanto trapela, le richieste riguardano soggetti già sottoposti a sanzioni dalle Nazioni Unite, dall’Ue e dal Dipartimento di Stato Usa. Una indiretta conferma arriva proprio dal report consegnato all’Onu. «Coloro che cercano di trafficare e sfruttare i migranti e i rifugiati - si legge - prendono di mira le persone più vulnerabili, che non hanno o hanno pochissima capacità di far valere i propri diritti umani fondamentali». Fino ad aprile di quest’anno, aprire indagini dell’Aja sui trafficanti era risultato quasi impossibile, poiché la Corte penale era stata autorizzata a procedere solo per crimini di guerra. Ma ora il procuratore Karim Khan ha ribadito che secondo «una valutazione preliminare dell’Ufficio, i crimini contro i migranti in Libia possono costituire crimini contro l’umanità e crimini di guerra». I boss del traffico di esseri umani, armi, petrolio e droga erano riusciti a sfuggire alla giurisdizione internazionale proprio perché apparentemente slegati dai crimini commessi durante gli scontri, ma gli investigatori sono riusciti a dimostrare che la filiera della tortura e dell’estorsione altro non è che una redditizia arma di guerra adoperata dalle milizie coinvolte direttamente nel conflitto.
Khan è stato perentorio: «È un obbligo collettivo garantire che i responsabili di tali crimini siano chiamati a risponderne». Tutti i boss su cui si indaga sono a capo di clan che si spartiscono il potere: dall’esercito alla guardia costiera, dalla «polizia petrolifera» agli squadroni della morte a servizio del generale Haftar, il padrone della Cirenaica da sempre in lotta con i gruppi della Tripolitania. «Abbiamo visto vittime in tutte le parti della Libia, da Bengasi, da Derna, da Tajura o Murzuk o Tawergha», ha raccontato il procuratore che poi si è commosso riferendo dell’incontro con i familiari dei prigionieri uccisi per ordine degli uomini di Haftar e gettati nelle fosse comuni di Tarhuna. «Finora sono stati recuperati 250 corpi e ne sono stati identificati molti meno», ha aggiunto Khan. «Ho incontrato un uomo che ha perso 24 membri della sua famiglia. Una donna ne aveva persi 15. Un’altra - ha riferito il procuratore - chiedeva solo di poter sapere dove si trovano i resti del figlio per avere una tomba dove recarsi a piangere».Perché si arrivi in fondo serve la cooperazione dei giudici locali, a cominciare da quelli italiani. «La Corte penale internazionale non è un tribunale apicale, è un hub - ha spiegato Khan -. E dobbiamo lavorare insieme per assicurarci che ci sia meno spazio per l’impunità e maggiori sforzi di responsabilità».
Sono richieste presentate «in modo confidenziale - ha spiegato Karim Khan -, e spetta ai giudici decidere. Perciò non posso parlare in termini più espliciti». Non è un punto di arrivo: «Presenteremo ulteriori richieste d’arresto, perché le vittime vogliono vedere l’azione della giustizia e le prove sono ormai disponibili». La procura ha accolto anche le denunce di alcune organizzazioni giuridiche internazionali che in anni di lavoro hanno trovato altri riscontri alle indagini giornalistiche, «soprattutto quelle condotte da Avvenire e alcune altre testate internazionali», spiega una fonte dell’Aja, e che ora vengono esaminate dal tribunale in vista dell’imminente emissione dei mandati di cattura.