Per i vescovi di
Udine, Trieste e Concordia-Pordenone la trascrizione delle nozze gay nelle anagrafi comunali da parte dei sindaci è un atto «irresponsabile » e «arbitrario», un travisamento «superficiale e ambiguo» della famiglia. È accaduto anche a Udine e a Pordenone, mentre il sindaco di Trieste ha anticipato che lo farà se sarà richiesto. Monsignor Andrea Bruno Mazzocato, monsignor Giampaolo Crepaldi e monsignor Giuseppe Pellegrini, i tre vescovi, in un messaggio ai fedeli delle loro diocesi, dopo aver richiamato le conclusioni del Sinodo, esprimono «sofferenza » per iniziative che «hanno lo scopo di forzare la legislazione nazionale sui temi relativi ai cosiddetti 'nuovi diritti' e l’intento di condizionare l’opinione pubblica». I sindaci «non possono debordare l’ambito loro proprio e porsi in contrasto con le leggi vigenti», insistono i vescovi, ricordando che la legalità, di cui una comunità ordinata vive, ha molti aspetti che riguardano il bene comune. «La pace è sempre
tranquillitas ordinis, la tranquillità dell’ordine. Nel disordine non c’è pace e non c’è bene comune. Chi ha dei ruoli pubblici ha in ciò una responsabilità maggiore di altri, proprio in quanto investito di un potere pubblico in ordine al bene comune». Il potere, per i vescovi, deve essere sempre responsabile se vuole essere autorevole e non arbitrario; non si può, quindi, in nome della difesa dei diritti di qualche cittadino snaturare il concetto di famiglia della Costituzione italiana. I sindaci si giustificano ammantando i loro gesti di un significato di lotta per i 'diritti umani'. «I diritti fondamentali della persona vanno indubbiamente rispettati - rispondono i tre vescovi -, ma senza estendere la legislazione familiare e matrimoniale a relazioni affettive e sessuali che, per natura loro, famiglia e matrimonio non sono». Non manca una forte critica ai sindaci perché con queste scelte di fatto ignorano i veri bisogni della gente. Il messaggio dei vescovi ha incontrato a Trieste una prima, inconsulta risposta. Davide Zotti, responsabile scuola di Arcigay, insegnante del liceo Dante-Carducci ha tolto il crocifisso dall’aula, in segno di protesta contro l’arcivescovo Crepaldi, per aver ribadito, a suo dire, «le posizioni omofobiche della Chiesa, affermando che l’omosessualità non è conforme alla realtà dell’essere umano». Nel passato Crepaldi era stato fatto oggetto di altre contestazioni simili.