venerdì 18 ottobre 2024
Durissima la replica della maggioranza allo stop all'esternalizzazione dei centri migranti in Albania: magistrati politicizzati. Lunedì Consiglio dei ministri. Le opposizioni: danno erariale
La premier Giorgia Meloni

La premier Giorgia Meloni - Ansa

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«Come proseguiremo con l’applicazione del Protocollo con l’Albania, se si rischia una caterva di altre decisioni del genere? Se davvero vogliamo portare lì 36mila migranti in un anno, servono correttivi. E alla svelta». È l’abbozzo di una tempestiva contromossa, quello che a mezza voce da ieri pomeriggio circola nelle stanze del governo. Già perché ormai una spada di Damocle pende su quella strategia - l’esternalizzazione dei centri per migranti in un Paese extra Ue - su cui la premier Giorgia Meloni e l’esecutivo hanno investito molto, sul piano economico e ancor di più su quello dell’immagine politica, interna ed europea. Alle 14, quando arriva l’ufficialità della mancata convalida giudiziaria dei trattenimenti dei 12 migranti egiziani e bengalesi, il contraccolpo è forte. L’ira e la frustrazione per una decisione avversa ai propri progetti traboccano dalle prime dichiarazioni, dei leader di maggioranza contro certa «magistratura politicizzata». E, col passar delle ore, i toni salgono ancor di più quando le opposizioni lamentano lo sperpero di risorse pubbliche e annunciano di voler ricorrere all’Unione Europea. Ma andiamo con ordine.

La maggioranza furiosa: «Giudici pro-immigrati»

Le prime stoccate alle toghe arrivano dalla Lega, già schierata a Palermo nel giorno dell’arringa di difesa del vicepremier Matteo Salvini nel processo Open arms, e da Fratelli d’Italia. L’ordinanza del tribunale di Roma è «inaccettabile e grave - si legge in una nota del Carroccio -. I giudici pro-immigrati si candidino alle elezioni, ma sappiano che non ci faremo intimidire». Toni aspri pure dal partito della premier: «Assurdo! In aiuto della sinistra parlamentare arriva quella giudiziaria - lamenta un post sul profilo X di Fratelli d’Italia, in una grafica con una toga di colore rosso -. Alcuni magistrati politicizzati hanno deciso che non esistono Paesi sicuri di provenienza: impossibile trattenere chi entra illegalmente, vietato rimpatriare i clandestini. Vorrebbero abolire i confini dell’Italia, non lo permetteremo». Meno aspra, ma comunque tagliente è la posizione di Forza Italia: «Sono abituato a rispettare le decisioni del potere giudiziario - osserva da Ventimiglia il vicepremier e leader azzurro Antonio Tajani -. Ma il potere giudiziario deve applicare le leggi, non modificarle o impedire all’esecutivo di fare il proprio lavoro. Andremo avanti con quanto ha detto la presidente Von der Leyen, per la quale l’accordo tra Italia e Albania è un modello da seguire».

La premier rilancia: lunedì in Cdm nuove norme

Le valutazioni di Tajani sono una cartina tornasole della linea che il governo intende difendere, anche per non perdere la faccia. Lo conferma l’annuncio della premier, in viaggio nel tormentato Medio Oriente e subito messa al corrente dal suo staff della pronuncia del tribunale capitolino: «È molto difficile lavorare e cercare di dare risposte a questa nazione», lamenta da Beirut, «quando si ha anche l’opposizione di parte delle istituzioni che dovrebbero aiutare a dare risposte». Meloni definisce «pregiudiziale» la decisione dei giudici di Roma. E, come in una partita di poker, rilancia: «Ho convocato un Consiglio dei ministri per lunedì prossimo per risolvere questo problema e approvare delle norme per superare quest'ostacolo». In che modo? «Penso non spetti alla magistratura dire quali sono i “Paesi sicuri”, ma al governo, che dovrà chiarirlo meglio».

Piantedosi: faremo ricorso

Alla correzione normativa in corsa, il governo intende affiancare la risposta sul piano giudiziario. «Nutro rispetto per i giudici», premette il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, «la battaglia la faremo all’interno dei meccanismi giudiziari. Ricorreremo e arriveremo fino alla Cassazione». A suo parere, «qui si nega il diritto del governo di attivare procedure accelerate: fare in un mese quello che altrimenti avviene in tre anni». E il titolare del Viminale assicura: «Non solo andremo avanti coi ricorsi giudiziari, ma anche con queste iniziative», politiche e legislative, «perché dal 2026 quello che l'Italia sta realizzando in Albania, e non solo, diventerà diritto europeo».

La mossa europea delle opposizioni e l’ira di Meloni

Dal canto loro, le opposizioni parlano di uno «smacco» e salutano la decisione dei giudici romani con toni oscillanti fra il giubilo e lo sfottò. «Altro che modello - incalza la segretaria dem Elly Schlein -. L’intero meccanismo non sta in piedi, 800 milioni buttati, un danno erariale». E Nicola Fratoianni, di Avs, invoca le dimissioni del ministro Piantedosi, ipotizzando che lui e l’intero governo «dovrebbero di tasca loro rimborsare lo Stato per i soldi pubblici sprecati». Per M5s, Meloni «ora dovrebe scusarsi per la truffa del Cpr in Albania». E anche il leader di Iv Matteo Renzi è sferzante: «Per avere tre like sui social, il governo butta via un miliardo di euro». In più, Pd, M5s e Avs presentano un'interrogazione alla Commissione europea per sollecitare una procedura d'infrazione contro l'Italia, dato che «la Commissione europea ha affermato che il protocollo non è previsto dalle norme comunitarie». Una mossa che fa infuriare la premier, inducendola a replicare via social: «Alcuni partiti italiani stanno di fatto sollecitando l'Europa a sanzionare la propria Nazione e i propri cittadini, col solo obiettivo di colpire politicamente questo Governo. Una vergogna che non può passare inosservata». Insomma, ormai la tenzone è aperta e mescola il piano politico e quello giudiziario. E solo i prossimi mesi diranno se l’impalcatura del Protocollo italo-albanese reggerà alle sollecitazioni.

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