martedì 21 maggio 2024
Uno studio di Fondazione Con il Sud condotto dall'istituto Demopolis denota un Paese nettamente spaccato nelle attese per la riforma. Che nutre poca fiducia nella possibilità che il Pnrr cambi le cose
 L'autonomia differenziata divide: al Nord la vogliono, il Sud la boccia
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L’autonomia differenziata divide l’Italia, ancor prima della sua approvazione. La maggioranza degli italiani la ritiene una misura «inopportuna e sbagliata», ma con forti differenze fra Nord e Sud. Per il 66% degli italiani che vivono al Nord la sua attuazione è una misura positiva, l’opposto avviene al Sud con l’81% che la giudica negativamente.

Lo rivela un’indagine promossa dalla Fondazione Con il Sud, condotta dall’Istituto Demopolis su un campione di oltre 4.000 intervistati, rappresentativo dell’universo della popolazione italiana maggiorenne, i cui risultati sono stati presentati oggi.

L’Italia non è uguale per tutti: non lo è nelle prestazioni del welfare, né sul piano sociale ed economico. Se il 70% dei residenti nel Nord promuove i servizi pubblici nel proprio territorio, il dato si riduce al 39% nel Sud e nelle Isole, dove il 61% dei cittadini è del tutto insoddisfatto. E c’è scarsa fiducia anche nel Pnrr: per il 67% degli italiani le risorse non saranno spese in modo efficace per far ripartire il Paese. E non serviranno a ridurre il divario Nord-Sud (62%) e a contenere l’emigrazione dei giovani verso il Nord o l’estero (65%). Inoltre il 53% degli italiani che non hanno votato negli ultimi anni indica come motivazione la delusione e la sfiducia nei partiti.

«Deve far riflettere che l’80% degli italiani, al Nord come al Sud, siano preoccupati dalla fragilità della sanità pubblica» - commenta Stefano Consiglio, presidente della Fondazione Con il Sud -. Da questo clima di sfiducia e scettiscismo verso il Pnrr emerge però un’attesa: che, nella pianificazione dello sviluppo territoriale, lo Stato ascolti e coinvolga realmente imprese e terzo settore»». Ma dai dati emerge che «c’è da recuperare fiducia tra i cittadini e, forse, la speranza che il Pnrr non sia completamente un’occasione mancata. Dopotutto - ricorda Consiglio - 8 italiani su 10 ritengono che il ritardo economico e sociale del Sud blocca la crescita complessiva del Paese».

Servizi pubblici e Welfare

«Meno di un quinto degli italiani - spiega il direttore di Demopolis Pietro Vento - ritiene che il Welfare pubblico garantisca oggi tutte le prestazioni di cui c’è bisogno nella propria regione di residenza. I servizi sociali, la sanità, la scuola sono garantiti nella dimensione strettamente essenziale, nella percezione del 43%. Ma il 38% afferma che non sono più garantiti oggi neanche i servizi fondamentali, con un dato che a Sud sale al 58%».

La sanità rappresenta la dimensione più problematica nella percezione dei cittadini: per l’84%, è il problema che peserà maggiormente sul futuro dell’Italia. La deriva inflattiva e l’aumento del costo della vita, con la riduzione del potere d’acquisto delle famiglie, sono citati dai due terzi degli intervistati, mentre il 62% richiama le carenze nel welfare e il 59% l’insicurezza urbana e la criminalità.

Molto sentito il tema dello spopolamento e la denatalità, con la riduzione delle nascite e l’invecchiamento della popolazione, citati dal 58%, ma anche gli effetti del cambiamento climatico (53%), che il Paese inizia ad esperire con frequenza sempre maggiore, nelle forme degli eventi estremi, dalle alluvioni alle ondate di calore smodato e di siccità.

L’occasione PNRR e la sfiducia degli italiani

Su un dato sono tutti d’accordo: la percezione di inefficacia dei fondi Pnrr. Solo il 16% degli italiani ritiene che le risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, assegnate all’Italia dall’Unione Europea, saranno spese in modo efficace per far ripartire il Paese. Gli italiani individuano due principali problemi che gravano su Comuni e Amministrazioni pubbliche: le lentezze della burocrazia e l’insufficienza di figure specializzate nella PA (78%), ma anche la bassa qualità o improvvisazione di molti progetti (60%). Lo conferma un recente studio promosso dalla Fondazione Con il Sud e condotto dal professor Gianfranco Viesti dell’Università di Bari da cui emerge come, soprattutto al Sud, vi sia un forte carenza di dipendenti e personale qualificato nelle PA.

Il 43% degli intervistati immagina che il Pnrr riuscirà a dotare il Paese di infrastrutture all’avanguardia, ma meno di un quarto confida che possa diminuire il divario tra Settentrione e Mezzogiorno, e appena un quinto degli intervistati immagina che possa contenere l’emigrazione delle giovani generazioni verso il Nord o l’Estero.

L’Autonomia differenziata

Il Disegno al vaglio delle Camere prevede il trasferimento di diverse competenze statali alle Regioni, che potranno trattenerne il gettito fiscale, non più distribuito su base nazionale. Malgrado la riforma preveda livelli minimi essenziali di prestazione nei servizi, il 53% degli italiani ritiene che sia inopportuna e sbagliata, perché favorirebbe solo le regioni più ricche. Mentre solo 35% la ritiene necessaria e urgente, perché aiuterebbe tutte le regioni. Ma i dati cambiano notevolmente fra aree del Paese. La maggioranza assoluta dei residenti a Nord, il 53%, è convinta dell’urgenza della Riforma, ma il dato si contrae al 29% nel Centro, per ridursi ulteriormente al 14% nel Sud e nelle Isole. Se i due terzi degli intervistati a Nord prevedono un impatto positivo della Riforma, è solo il 38% ad ipotizzarlo per il Centro Italia ed appena l’11% per il Mezzogiorno.

Il divario tra Nord e Sud

Considerando le differenze Nord-Sud, appena il 18% degli italiani ritiene che oggi, sul piano sociale ed economico, l’Italia sia unita. Non lo è per l’82%. Inoltre, il 45% sostiene che il divario si sia aggravato negli ultimi 5 anni, con una percezione che fra i residenti a Sud e nelle Isole sale al 60%. I cittadini meridionali per il 69% ritengono che il Mezzogiorno abbia inciso poco o per niente nelle scelte della politica nazionale. Inoltre per l’80% degli italiani il ritardo economico e sociale del Sud blocca la crescita complessiva dl Paese.

La scelta del non voto

Un ulteriore dato conferma la sfiducia che è alla base dell’incremento dell’astensionismo: chi ha scelto di non votare, nelle ultime tornate elettorali, lamenta di certo delusione verso i partiti (53%), ma anche una complessiva sfiducia nella capacità della politica di incidere sulla vita reale delle famiglie (38%) e nella possibilità, votando, di cambiare la gestione della cosa pubblica (36%). Emerge però l’attesa di un approccio rinnovato alle politiche di sviluppo. Per la schiacciante maggioranza degli italiani (65%), ad occuparsi di pianificare lo sviluppo sui territori dovrebbe ancora essere lo Stato, con l’ascolto e il coinvolgimento di imprese e cittadini anche in forma organizzata.

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