Don Mattia Ferrari - .
Potrebbe essere solo un appunto personale oppure, più in generale, un’indicazione per la Chiesa e per il suo impegno “sociale”. Certo è che quello che ha scritto la Procura di Modena nella richiesta di archiviazione della vicenda legata alle minacce ricevute da don Mattia Ferrari, il cappellano di “Mediterranea saving humans”, è destinato a far rumore.
Gli attacchi al sacerdote, ai giornalisti e a chi si occupa di salvare i migranti dal mare e di denunciare per davvero il traffico indisturbato che avviene nel Mediterraneo condotti da un personaggio conosciuto come il “portavoce della mafia libica” sono considerati irrilevanti e degni di archiviazione in quanto le minacce (per il pm semplicemente «le frasi») indirizzate al cappellano e agli altri bersagli non «presentano profili di rilievo penale».
Una posizione che, al di là del merito della questione, lascia perplessi i legali che difendono don Mattia. E chiunque scorra le carte.
Don Mattia è da tempo sotto “radiosorveglianza” decisa dal Comitato provinciale per la sicurezza dei cittadini, proprio sulla base di quelle minacce. Una decisione che per la Procura non avrebbe senso in quanto il sacerdote non sarebbe nel mirino di nessuna mafia libica. Le «frasi» scagliategli contro sarebbero «prive di rilevanza penale da chiunque esse provengano».
Nel testo in cui propone l’archiviazione il pm non cita mai l’account dal quale sono arrivate e che, come attestano inchieste giornalistiche e atti parlamentari, sarebbe invece «un portavoce della mafia libica legato ai servizi segreti di diversi Paesi». Quell’account infatti, sottolineano le fonti vicine a chi subisce minacce, pubblica continuamente materiale per conto della mafia libica e periodicamente anche foto “top secret” di velivoli militari europei e di apparati italiani.
Don Mattia, oltre a essere cappellano della Ong “Mediterranea Saving Humans”, è molto impegnato in un’azione pastorale e umanitaria a difesa delle persone migranti, in particolare di quelle che vengono soccorse nel Mediterraneo. Una missione, come si sa, tipicamente diffusa tra chi, all’interno della Chiesa, si occupa degli ultimi e dei più fragili. Ed è proprio per questo suo impegno che si sono accesi su di lui riflettori anche assai ostili. In particolare da parte del già citato account Twitter da cui, appunto, sono partite tutte le minacce.
A leggere la richiesta di archiviazione depositata a Modena è come se il magistrato avesse in un certo senso negato l’esistenza del legame tra l’account da cui sono partite le minacce e la mafia libica. E questo nonostante che un viceministro dell’Interno, l’allora in carica Carlo Sibilia, rispondendo a interrogazioni parlamentari avesse sottolineato la realtà e la gravità del fatto.
Ma c’è di più. A preoccupare i legali che difendono don Ferrari, ci sarebbe una sorta di “appunto” rivolto all’operato umanitario del sacerdote e non solo a quello. Nel documento della Procura si sottolinea, infatti, che «se il prete esercita in questo modo, diverso dal magistero tradizionale», deve in un certo senso aspettarsi reazione contrarie e fra queste di essere bersagliato.
Nello specifico, in un passaggio del testo, il pubblico ministero si mostra indulgente con chi usa i social network per aggredire e calunniare, suggerendo che l’esposizione sui social network naturalmente provoca reazioni, specie se «come già evidenziato chi porta il suo impegno umanitario (e latamente politico) sul terreno dei social o comunque del pubblico palco – ben diverso dagli ambiti tradizionali – riservati e silenziosi – di estrinsecazione del mandato pastorale - e lo faccia propalando le sue opere con toni legittimamente decisi e netti».
Per il pm, insomma, un sacerdote che prende posizione accanto ai poveri e agli ultimi non è abbastanza “discreto” ed è troppo “pubblico” e anche un po’, seppure in senso lato, “politico” e deve aspettarsi e, in fondo, subire reazioni. In altre parole, chi si occupa di diritti umani e si dedica all’impegno umanitario non deve sorprendersi se poi finisce nel mirino, anche se è un prete. Anzi, forse, proprio perché è un prete. Come se essere sacerdote significasse dire Messa, amministrare i sacramenti e stare in silenzio.
«La richiesta d’archiviazione è molto grave perché suggerisce che le condotte di minaccia e diffamazione online non debbano essere perseguite, ma siano coperte da una sorta di impunità», sottolinea l’avvocato di don Mattia, Francesca Cancellaro, dello studio legale Gamberini e associati. E annuncia: «Noi sappiamo, invece, quanto sia pericolosa questa opacità e quanto intimidatori possano essere i messaggi che vengono veicolati. Per questo presenteremo opposizione alla richiesta di archiviazione: per chiedere al Gip che finalmente si indaghi su questi preoccupanti episodi, consentendo a don Mattia di esprimersi liberamente in sostegno delle persone migranti e del dovere di soccorrerle».