domenica 10 novembre 2024
Raccolte le firme per un referendum. Contrari i politici locali di entrambi gli schieramenti
Il campanile della cattedrale di Isernia

Il campanile della cattedrale di Isernia - Ansa

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Le firme raccolte sono ormai quasi cinquemila, sufficienti per impacchettarle e spedire i plichi alla Provincia di Isernia, che a sua volta ha l’obbligo di trasmetterle alla Cassazione perché ne verifichi la correttezza; poi, dovrà eventualmente essere il Governo a indire un referendum popolare per chiedere ai 70mila votanti della seconda provincia del Molise se vogliono staccarsi da questa regione per ricongiungersi all’Abruzzo, come già fino al 1963 con la vecchia e unica entità amministrativa denominata “Abruzzi e Molise”.

L’iniziativa referendaria è del “Comitato per l’aggregazione della Provincia di Isernia alla Regione Abruzzo” che dal marzo scorso, per raccogliere le firme, ha battuto palmo a palmo i 52 paesi di quella che è la provincia meno popolata d’Italia con i suoi 80mila residenti. Ma perché ad Isernia, che come provincia è stata istituita nel 1970 staccando parte del territorio di Campobasso, c’è questa voglia di annettersi all’Abruzzo? «Perché in queste condizioni non si può vivere – afferma Gian Carlo Pozzo, ex questore e membro del Comitato –. La Regione Molise non è assolutamente più in grado di garantire e tanto meno gestire neppure i servizi essenziali, dalla sanità ai trasporti. Qui ricevere un servizio primario è un’impresa, ma paghiamo tasse altissime a fronte di poco o niente. La Regione ha un debito enorme, con un bilancio bocciato per la terza volta in tre anni, e l’unica cosa che riesce a fare è gravare i cittadini con altre tasse o aumentare quelle esistenti. A lamentarsi sono anche tanti residenti della provincia di Campobasso, ma staccare un’intera regione richiederebbe una modifica costituzionale, però anche lì si stanno muovendo, come ad esempio a Montenero di Bisaccia, il paese di Antonio Di Pietro».

Tuttavia, così facendo, non si rischia di avallare quel famoso reportage della Bbc sul “Molise che non esiste”? «La nostra “molisanità” non si tocca. Mica hanno perso identità emiliani e romagnoli o friulani e giuliani quando sono diventati una sola regione… Isernia resterebbe provincia, la quinta dell’Abruzzo, ma finalmente potrebbe avere servizi degni. La legge sull’autonomia differenziata? Il Molise non riuscirà a garantire neppure una delle materie previste, visto che la Regione a malapena riesce a pagare gli stipendi dei dipendenti».

Ma allora perché, a livello di politici regionali e da entrambi gli schieramenti, questo referendum è visto come il fumo negli occhi? «La spiegazione – riprende Pozzo - è semplice: in Molise il rapporto tra elettori ed eletto è di 1 a 90, la metà di quello dell’Abruzzo. In pratica ogni elettore conosce davvero bene chi ha votato, e viceversa. Non voglio usare parole forti come “clientelismo”, ma parlerei di una sorta di “fidelizzazione”. Anche per questo in molti non hanno firmato la nostra proposta di referendum, magari avevano paura di “offendere” gli eletti. Al referendum, dovremmo convincere non solo questi, ma anche il 50% di quelli che non vanno più a votare».

Di questo passo, l’impresa potrebbe essere non così difficile, perché il Molise continua a perdere abitanti e, caso unico in Italia, ormai ne ha di meno di quelli censiti al tempo dell’Unità. «Ma non si non fa niente contro lo spopolamento, perché senza ospedali, scuole o trasporti, la gente continua ad andare via, soprattutto i giovani », chiosa Pozzo. E magari, anche andar via non è così semplice: per raggiungere Roma da Isernia, che pure confina con il Lazio, servono più di tre ore lungo la vecchia e disastrata linea ferroviaria.

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