Eugenia Roccella, ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità - ImagoEconomica
Dal 4 al 6 ottobre a Matera si tiene il vertice dei ministri G7 responsabili per le Pari opportunità, sui temi della parità di genere e dell’empowerment delle donne. A presiedere la riunione la ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità, Eugenia Roccella. A lei nei giorni scorsi le associazioni familiari dei Paesi interessati, l’F7, hanno consegnato un documento, un Patto per mettere al centro la famiglia e la sua stabilità, la libertà delle donne, nel raggiungere obiettivi di sviluppo sostenibile, crescita demografica e inclusione sociale.
Ministra, quale sarà il contributo dell’Italia al G7 della pari opportunità di Matera?
Il focus del nostro G7 sarà da una parte la lotta alla violenza contro le donne, su cui è importante che ci sia uno sforzo comune, e penso anche al fenomeno della tratta e dello sfruttamento sessuale di donne e bambini, e dall’altra l’empowerment femminile, e quindi la libertà di esprimere i propri talenti senza rinunciare alla vita privata, e ad avere figli se si desiderano. Il documento delle associazioni familiari è molto importante, e inquadra il tema della parità nell’ambito della sfida demografica e dello sviluppo armonioso della società. Come spesso accade per la maternità, anche nei confronti dell’F7 abbiamo riscontrato resistenze a livello internazionale. Ma noi del loro apporto faremo tesoro.
La strada da fare è molta. Proprio nei giorni scorsi il rapporto annuale dell’Inps ha riproposto il tema delle difficoltà che incontrano nel mondo del lavoro le donne che diventano madri. Perché la child penalty, cioè la penalizzazione legata alla nascita di un figlio, in Italia è ancora così rilevante?
Non è giusto parlare di child penalty, e non si tratta di una questione lessicale ma di sostanza. Non è l’arrivo di un figlio che è penalizzante, altrimenti il problema riguarderebbe entrambi i genitori e a dimettersi dal lavoro sarebbero anche i padri. E invece proprio i dati sulle dimissioni delle donne per maternità indicano che bisogna parlare di motherhood penalty. Lo stesso vale per la differenza retributiva tra uomini e donne: i contratti sono uguali, a cambiare è l’impegno nel lavoro di cura, che incide sulle progressioni di carriera o sul salario accessorio. Dobbiamo essere chiari: non è che i padri siano meno importanti delle madri, e nemmeno che il lavoro di cura debba essere solo a carico delle donne, anzi è fondamentale che sia condiviso. Il punto è un altro, e riguarda la differenza sessuale, il corpo femminile che genera e quindi la gravidanza, il parto, l’essere due in uno, le competenze speciali che questo rapporto unico tra madre e figlio permette di sviluppare. Uno dei motivi per cui non si fanno più figli è proprio la mancanza di gratificazione e riconoscimento sociale per la maternità. Lo specifico materno, anche rispetto alla conciliazione vita-lavoro, deve essere considerato. Altrimenti non se ne esce.
Resta il fatto che, quando diventano madri, le donne italiane lasciano molto più spesso il lavoro rispetto ai padri, hanno una forte penalizzazione retributiva che faticano a recuperare e in prospettiva si ritroveranno con una pensione più bassa.
In realtà il rapporto Inps, come anche i dati Istat, dimostra che un cambiamento è in atto. E non è frutto del caso ma delle politiche intraprese. È chiaro che i fenomeni legati alla motherhood penalty ancora esistono, perché l’Italia sconta un ritardo e un disinteresse antichi. Ma, forse per la prima volta, in questi due anni di governo la questione è stata affrontata. E i risultati si vedono, a cominciare dai piccoli grandi record sull’occupazione femminile.
Se non è presto per fare bilanci, quali misure considera più importanti tra quelle varate, e su quali intendete concentrarvi?
Il nesso tra l’inversione di tendenza e le politiche del governo è nei numeri: ad esempio, abbiamo potenziato i congedi parentali e aumentato il bonus nido, e in entrambi i casi i fruitori sono cresciuti. Sul fronte dell’occupazione femminile, su cui abbiamo agito con incentivi e con la decontribuzione per le mamme lavoratrici, il balzo in avanti è ancora più vistoso. Questo è frutto delle misure concrete ma anche di un nuovo clima: lo Stato sta dicendo alle donne, alle mamme, alle famiglie, che è al loro fianco. Per il futuro, noi non siamo quelli dei superbonus edilizi, una bomba atomica fuori controllo lanciata nei conti pubblici. Con metodo empirico, noi verifichiamo l’efficacia delle diverse misure e valutiamo come proseguire, tenendo conto dei risultati, dei vincoli di bilancio e del dovere delle scelte.
Una donna su cinque in Italia lascia il lavoro dopo la nascita di un figlio. Perché? È un problema di caratteristiche del tessuto produttivo, di impieghi poco dignitosi e mal pagati, o c’è anche un serio problema culturale?
L’aspetto concreto e quello culturale sono intrecciati. Ma nel mondo produttivo c’è una nuova sensibilità. Il nostro governo ha messo i temi del mio ministero - famiglia, pari opportunità e natalità - al centro della propria azione, ma con un approccio sussidiario e non dirigista. Un cambiamento culturale così imponente, e cioè la creazione di un clima amichevole verso la genitorialità e la famiglia, non si produce infatti solo con azioni calate dall’alto, ma creando le condizioni per una collaborazione con il mondo dell’impresa e del lavoro, attraverso una diversa organizzazione del lavoro e il welfare aziendale, e con gli enti locali, con i loro servizi di prossimità. Qualche giorno fa ho inaugurato un bellissimo asilo dell’Enel, azienda che fra le prime aveva sottoscritto il codice di autodisciplina per le imprese e la maternità promosso dal mio ministero. I propositi possono diventare fatti, e il governo con le sue politiche spinge in questa direzione e la sostiene. Se facciamo rete tra politica nazionale, enti locali e mondo produttivo, le cose possono cambiare. E stanno già cambiando.
Lei parla di “riconoscimento del materno”. Cosa intende?
Un tempo in Italia c’era il mito retorico della maternità: un mito a doppia faccia, perché la maternità era gratificata ma alle donne era sostanzialmente impedito, o reso estremamente difficile, avere altri ruoli, uscire dalle mura domestiche. Oggi le donne si sono fatte largo nel mondo del lavoro e nello spazio pubblico, abbiamo un premier donna, la retorica è stata smontata, però non è stata sostituita da altre forme di riconoscimento. Essere madre è diventato un fatto solo privato, e soprattutto privo di qualsiasi specificità. Addirittura c’è chi, come Laura Boldrini, vorrebbe cancellare dalla Costituzione il riferimento alla tutela della maternità, pensando che pari opportunità significhino appiattimento, omologazione. E invece è esattamente il contrario. Le pari opportunità possono essere raggiunte solo se si parte dalla differenza.
La realtà dice che in Italia i lavori a casa non retribuiti impiegano le donne circa 3 ore al giorno, e il divario con gli uomini è tra i più alti in Europa e anche nel G7 e in area Ocse. Una circostanza che si riflette sui tassi di occupazione femminile e sulla natalità. La differenza non è già nella realtà?
Essere madri ed essere padri è ugualmente importante, ma non è uguale. Una madre porta avanti la gravidanza, partorisce, allatta al seno, e dunque anche nel lavoro ha esigenze diverse e anche differenti life skills che andrebbero valorizzate. Riconoscere il materno significa riconoscere che tutto questo ha un valore anche sociale. La maternità è una libera scelta se intorno ad essa esiste un clima accogliente. Invece nei documenti internazionali la parola maternità è ormai un tabù. Addirittura l’espressione “maternità come libera scelta” oggi viene rifiutata, e pensare che era un vecchio slogan femminista… Noi questa battaglia culturale vogliamo affrontarla e vincerla, non con l’imposizione ma favorendo un cambiamento. Sa perché oggi molti più uomini cucinano rispetto al passato?
Mi interessa.
Perché cucinare è diventata un’attività gratificante, su cui si costruiscono carriere, film, trasmissioni di successo. Insomma un’attività accompagnata dal consenso sociale. Ma essere genitori, dedicarsi al lavoro di cura non è altrettanto prestigioso, non è qualcosa di socialmente riconosciuto.
Parlando di manovra, il governo ha fatto capire che non toccherà l’Assegno unico. È così? Ci sono margini per intervenire sulla leva fiscale per le famiglie?
La manovra è un cantiere aperto, ne riparleremo. Quanto all’Assegno unico, non lo toccheremo e semmai dovessimo toccarlo sarà per potenziarlo, come abbiamo già fatto. Il vero attacco arriva dalla procedura di infrazione europea, che rischia di innescare una reazione a catena incontrollabile e insostenibile. È su questo che la sinistra dovrebbe pronunciarsi, visto tra l’altro che la legge, pur votata da tutti, è stata scritta quando erano loro al governo.
Oggi nei Paesi sviluppati sempre più spesso si diventa genitori in virtù di un’occupazione stabile e di retribuzioni migliori, mentre la povertà rischia di essere una condizione penalizzante anche in relazione alla formazione di una famiglia. A suo parere le misure economiche possono aiutare a realizzare il desiderio di genitorialità, che in Italia sembra resistere?
La realtà è più articolata. Prima di tutto bisogna ammettere che la denatalità è un fenomeno che accompagna lo sviluppo. Più una nazione si modernizza, acquisisce ricchezza, benessere diffuso, sviluppo economico, sociale e tecnologico, e più smette di fare figli. Sembra un paradosso ma è una tendenza ormai incontrovertibile, infatti in tutto il mondo sviluppato, non solo in Europa, ma anche in Asia e in America, siamo sotto i due figli per donna, il tasso di natalità che garantisce l’equilibrio tra nascite e morti. Ci sono esempi clamorosi, come la Cina e soprattutto la Corea del Sud, dove in pochi decenni si è passati da 6 figli per donna a meno di uno, e non si riesce, nonostante enormi investimenti, a invertire la tendenza. Questo a livello generale. Poi invece, sul piano delle scelte personali, la sicurezza economica e occupazionale ovviamente incide. Per questo abbiamo potenziato le misure di sostegno diretto, dall’Assegno unico aumentato di 4 miliardi al nuovo Assegno di inclusione tarato sulle famiglie povere con figli, e all’asilo nido sostanzialmente gratuito dal secondo figlio.