Luciana Lamorgese, ministra dell'Interno, in una foto di repertorio - Ansa
Il cielo è buio sulla capitale, ma la luce nell’ufficio al secondo piano del Viminale è ancora accesa. Non è ancora terminata l’ennesima giornata "sul pezzo" per il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, alle prese col dossier legato all’incremento di arrivi di migranti via mare: «12.894» dal 1° gennaio a ieri, secondo i dati del Viminale, a fronte di circa 3mila dello stesso periodo del 2020. La «cabina di regia» del governo non si è ancora riunita, ma a Palazzo Chigi si è tenuto un primo punto della situazione fra il premier Mario Draghi, la titolare dell’Interno e i colleghi di Esteri e Difesa, Luigi Di Maio e Lorenzo Guerini.
Ministro Lamorgese, cosa avete deciso? Siamo ormai a livello di emergenza?
Tutte le statistiche storiche evidenziano un aumento degli sbarchi nella stagione estiva. Ora, i numeri assoluti relativi ai primi mesi del 2021 sono superiori a quelli del 2020. Lo sono anche perché la crisi sociale ed economica innescata dal Covid-19 ha colpito in modo duro anche il continente africano. In ogni caso, la situazione va gestita tenendo conto dei picchi stagionali e della pandemia.
Con quali misure?
Da tempo, in previsione degli incrementi degli sbarchi in estate, stiamo insistendo con tutti gli interlocutori europei, coinvolti come noi nella complessa trattativa sul nuovo Patto Immigrazione e Asilo proposto dalla Commissione.
E cosa avete chiesto?
Una tempestiva attivazione di un meccanismo d’emergenza finalizzato al ricollocamento nei Paesi dell’Unione disponibili dei migranti salvati in mare durante eventi di soccorso e ricerca.
Nel frattempo i barconi partono. Lei ha incontrato le autorità politiche di Libia e Tunisia. Quali impegni concreti stanno assumendo quei governi?
In Libia sono stata il 19 aprile, poco dopo la visita del presidente Draghi. E il 20 maggio tornerò a Tunisi insieme alla commissaria europea Ylva Johansson. La presenza dell’Europa è fondamentale per stabilizzare quei Paesi e per governare i flussi migratori in una logica di partenariato che sappia comprendere, nello stesso pacchetto, progetti di sviluppo, azioni contro il traffico d’esseri umani e garanzie per il rispetto dei diritti umani dei migranti. In particolare la Tunisia, dove la crisi economica innescata dal Covid 19 ha colpito duramente, la classe media deve essere aiutata a rafforzare il suo sistema economico e sociale, anche grazie a finanziamenti europei.
E nel caso della Libia? Stime locali riferiscono di 50-70mila migranti in attesa sulla costa, oltre a quelli trattenuti nei centri.
Per la Libia, come ho ribadito all’Alto commissario dell’Acnur Filippo Grandi, il governo vuole proseguire con convinzione sulla linea delle evacuazioni umanitarie, che ha già portato alla realizzazione di 8 corridoi per i migranti più vulnerabili. E che sta portando alla definizione di un nuovo protocollo per l’accoglienza di altre persone bisognose di protezione. Grazie anche alla preziosa attività di Acnur e Oim, il governo intende continuare a finanziare progetti che prevedono rimpatri volontari assistiti dalla Libia, assistenza vitale nei centri di detenzione e supporto ai migranti nei contesti urbani. Anche per questo, in occasione dell’ultima missione a Tripoli, ho proposto di organizzare quanto prima un incontro a Roma con i rappresentanti delle agenzie dell’Onu e delle autorità libiche.
Però i naufragi continuano. Perché l’Ue non rafforza il sistema di ricerca e soccorso?
Sulla scorta dell’arrivo di decine di barconi carichi di migranti giunti a Lampedusa nell’ultimo fine settimana, non possiamo pensare di affrontare una situazione così complessa, causa di tragedie in mare, senza puntare molti sforzi per favorire la stabilizzazione del quadro politico in Libia. Il governo di unità nazionale, formato da pochi mesi, va messo in condizione di operare ed estendere il suo controllo su tutti i tratti di costa interessati dalle partenze dei barconi.
Avvenire ha documentato inerzie della Guardia costiera locale, in casi di naufragio. E molti traffici sono gestiti da bande e milizie locali. Crede che il governo libico riuscirebbe a cambiare questo?
Il contrasto alle organizzazioni criminali che sfruttano il traffico di esseri umani deve essere una priorità assoluta. Inoltre, stabilizzare le istituzioni libiche significherebbe consentire al governo di Tripoli di gestire l’area di Search and rescue di sua competenza in modo uniforme e nel pieno rispetto dei diritti umani.
Il ministro dell’Interno tedesco Horst Seehofer lancia l’allarme sull’«aumento dei migranti dalla rotta balcanica». Cosa sta succedendo?
Il quadrante balcanico ha fatto registrare un incremento delle persone transitate in Italia dal confine sloveno, nonché degli immigrati arrivati via mare dalla Grecia e dalla Turchia.
E cosa si sta facendo?
Il 16 aprile ho incontrato a Roma il ministro dell’Interno sloveno. E il 4 maggio sono andata a Vienna per un colloquio col collega austriaco. Ho illustrato i contenuti delle mie richieste al vice presidente Ue Schinas e alla commissaria Johansson, richiamando la loro attenzione sulla rotta balcanica ed evidenziando l’urgenza di un confronto tra tutti gli Stati interessati sulla gestione dei flussi terrestri.
Con quale esito?
Purtroppo la risposta della Commissione non è stata fin qui soddisfacente. Ma noi insisteremo ancora in sede europea, perché questa situazione può essere gestita efficacemente solo con l’impegno comune dei Paesi interessati.
Enrico Letta chiede di trasformare la proposta della Commissione Ue in un Next Generation Migrations, che parta dal superamento definitivo della Convenzione di Dublino sull’asilo. Cosa ne pensa?
l segretario del Pd ha evidenziato come le classi dirigenti dei Paesi membri, determinate nel contrastare la pandemia, non abbiano ancora messo in campo la stessa determinazione sull’immigrazione. Concordo con lui quando sostiene che vada modificata la proposta della Commissione sul nuovo Patto per Immigrazione e Asilo perché, come sto ripetendo da mesi in tutte le sedi, l’Europa potrà governare il fenomeno delle migrazioni soltanto in una cornice di forte solidarietà e di obiettivi strategici condivisi.
Un anno fa, lei propose una ripresa dei flussi migratori regolari «appena l’emergenza Covid–19 lo consentirà». Un orizzonte possibile, con l’attuale maggioranza di governo?
La base normativa c’è. Un emendamento accolto dal governo su impulso del Viminale, approvato in sede di conversione del testo che ha cambiato i decreti immigrazione ha soppresso il limite al numero di stranieri ammissibili sul territorio nazionale prima stabilito, in riferimento all’anno precedente, a 30mila persone. E io sono convinta che dobbiamo insistere su questa strada: così facendo, sottraiamo i migranti allo sfruttamento della criminalità e rispondiamo alle esigenze di chi, nelle imprese e nelle famiglie, richiede manodopera specializzata. L’ho ripetuto i n queste ore alla Conferenza di Lisbona sulla gestione dei flussi migratori: va definita un’adeguata strategia sui canali d’ingresso legale in Europa in una logica di "migrazione circolare". È un percorso che consente di incrociare le esigenze del mercato del lavoro europeo con la valorizzazione del lavoratore immigrato e con un suo possibile rientro nel Paese d’origine.
Nei fatti, intanto, la regolarizzazione di braccianti, colf e badanti del 2020 procede a rilento.
Le procedure delle gare europee per individuare 800 lavoratori interinali addetti all’esame delle pratiche si sono concluse a gennaio e 676 sono già entrati in servizio. Gli adempimenti sono complessi e investono più amministrazioni: questure, ispettorati territoriali del lavoro, Inps e Agenzia delle Entrate. Inoltre, la pandemia ha inciso in negativo sulla funzionalità delle strutture periferiche. Ciò detto, è indiscutibile il ritardo accumulato. Anche per questo, proprio in questi giorni, è stata data indicazione ai prefetti di adottare tutte le misure organizzative necessarie per accelerare la definizione delle pratiche.
Quante ne restano da esaminare su 207mila?
Siamo al 12% dei procedimenti esaminati: circa 23 mila definiti positivamente, 2.700 rigetti e 800 rinunce. E con la domanda viene rilasciato al datore di lavoro, affinché lo consegni alla persona interessata, un cedolino che consente di lavorare in attesa della convocazione.
Ma cosa accadrà a chi nell’attesa ha visto terminare il proprio contratto di lavoro?
Su alcune situazioni di criticità, tra cui quella dei contratti di lavoro già scaduti, di concerto con altre amministrazioni competenti si stanno elaborando in queste ore soluzioni che non penalizzino ulteriormente i cittadini stranieri interessati all’emersione.
La legge sullo ius soli e ius culturae divide la politica. Non è tempo che il Parlamento ascolti l’appello di tanti ragazzi italiani nel cuore e nella lingua, ma non nel passaporto?
Una riforma di questa portata può essere realizzata solo con la sintesi tra le diverse posizioni politiche. Non è accaduto al termine della scorsa legislatura, quando lo ius soli temperato fu bloccato prima del passaggio decisivo nell’aula del Senato. Io ritengo che, anche in questa fase, sia necessario lavorare per trovare un punto di caduta.
Ministro, ciclicamente dall’opposizione si chiede al governo un «blocco navale» per fermare i barconi con i migranti. È una ipotesi realizzabile?
Com’è noto, tecnicamente il blocco navale è una classica misura di guerra, ricompresa tra gli atti di aggressione previsti dall’articolo 3 della risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni unite 3314 del 1974. Pertanto il blocco non si può applicare, poiché contrasta con le disposizioni che vietano il ricorso all’uso della forza nelle relazioni tra Stati, come metodo di risoluzione nelle controversie internazionali. Analogo principio è sancito dall’articolo 11 della Costituzione italiana.