È una denuncia choc quella che arriva da Treviso, profondo Nord Est. In una terra in cui le preoccupazioni economiche pesano meno che altrove e dove la natalità è considerata ancora un valore, sembra infatti vacillare il rispetto della vita 'senza se' e 'senza ma': sempre più spesso le giovani coppie rifiutano figli davanti a diagnosi di disabilità, persino eventuali. I dati sono drammatici e negli ultimi anni hanno rasentato il 70%. Lo conferma il direttore dell’Unità di Ginecologia e Ostetricia dell’ospedale di Treviso, Enrico Busato. «Su dieci donne, sette interrompono la gravidanza quando vengono a sapere che il loro figlio potrà avere qualche imperfezione. Numerosi genitori, quindi, decidono per l’aborto».
E questo vale, secondo Busato, per ogni forma di possibile disabilità, su tutte la sindrome di Down. «Li vediamo catturati dalla paura, temono di rimanere soli, considerano subito il figlio che portano in grembo un “peso” più grande delle loro forze». Eppure in questa città i parti sono stati 2.182 nel 2017, un terzo di tutta la provincia, con un calo di appena 19 unità rispetto al 2016. La scelta dell’aborto in caso di diagnosi infausta riporta con la mente all’Islanda, col suo 100% di bimbi down abortiti, sventolato negli ultimi mesi come un primato dell’eccellenza scientifica e della precisione dei nuovi test sul Dna fetale.
L’Unità del dottor Busato a Treviso, d’altronde, è un centro di riferimento interprovinciale di diagnosi prenatale: sono un centinaio l’anno le malformazioni e le patologie genetiche che vengono certificate, altrettanto quelle di minore gravità. Se nascono meno disabili rispetto al passato, chiarisce subito Francesco Benazzi, direttore generale dell’Ulss 2 provinciale, «è perché le diagnosi sono precoci e di conseguenza la gravidanza si interrompe prima».
Diagnosi che con la strumentazione disponibile nell’ospedale veneto sono avanzatissime. «Sui risultati è ovvio che noi siamo obbligati ad informare la coppia», aggiunge il direttore. «Nonostante tutte, proprio tutte le mamme, indipendentemente da quello che sarà poi il loro orientamento vengano prese in carico e supportate secondo le necessità di ciascuna» la risposta «è vero, spesso è di interruzione della gravidanza».
L’azienda sanitaria mette a disposizione qualificati servizi di supporto psicologico, medico, scientifico, culturale, finanche religioso, perché la decisione, quando si palesa così drammatica, venga ponderata con la massima attenzione. «L’azienda di Benazzi e Busato è stata fra le prime in Italia a convenzionarsi con il Movimento per la vita – fa sapere il presidente nazionale Gian Luigi Gigli –. Si appoggia anche ad un consultorio familiare della diocesi, particolarmente qualificato. Il fatto è che soprattutto le giovani coppie, fragili come sono sul piano valoriale, vivono nel terrore della malformazione.
E non la accettano, anche se si manifesta in misura minima». Manca cultura, manca che le coppie per prime cerchino una consulenza prima e dopo i test che esuli dal puro dato scientifico legato alla gravidanza «e trionfa invece – continua Gigli – la mentalità eugenetica che ormai s’è instillata anche nel nostro Paese: quella per cui se il “giocattolo” non è perfetto allora non vale la pena, metterlo al mondo». La logica del giocattolo che soppianta quella del figlio. Continueranno a nascere bambini down? «Qui ne vediamo sempre meno, per la verità – ammette Benazi –. Eppure hanno una vita piena di dignità».