Il vescovo di Bergamo, Francesco Beschi
«Sì, sono sconcertato. Di fronte alle tante difficoltà che la legislazione regionale, la politica e l’opinione pubblica spesso pongono alla realizzazione di luoghi di preghiera e di culto per altre comunità religiose, incluse quelle islamiche, l’esito paradossale di questa vicenda è che una chiesa cara ai bergamaschi, di proprietà pubblica, può diventare una moschea». Così il vescovo di Bergamo Francesco Beschi commenta con Avvenire la notizia relativa all’assegnazione dell’ex chiesa degli Ospedali Riuniti all’«Associazione musulmani» di Bergamo, che si è aggiudicata il bando di vendita redatto per conto dell’Asst Papa Giovanni XXIII (un esito che la Regione ora vuole mettere in discussione).
Ecco: poteva essere redatto in altro modo, quel bando ora al centro delle polemiche? «Se mi chiedete se quel bando poteva prevedere una considerazione particolare degli edifici di cui stiamo parlando, fra cui la chiesa, inserita in un contesto storico di grande rilievo, la mia risposta è: sì, il bando doveva tenerne conto», scandisce il presule.
La chiesa del vecchio nosocomio «appartiene alla memoria della comunità bergamasca che negli Ospedali Riuniti e ora nell’Ospedale Papa Giovanni si riconosce e si identifica», ricorda Beschi in una dichiarazione pubblicata nel sito diocesano (il testo integrale in www.diocesi.bg.it). In questi ultimi anni la diocesi orobica ha affiancato «con favore la sistemazione della consistente comunità ortodossa romena che ha trovato nella chiesa del vecchio ospedale e nelle sue adiacenze la collocazione più adeguata alle necessità dei numerosi fedeli». Questa comunità ha partecipato al bando con la fondata convinzione di poterlo vincere. «Così non è avvenuto: il bando è stato vinto da una delle associazioni musulmane presenti nella nostra città. Ci troviamo di fronte quindi a una situazione sorprendente – aveva dichiarato Beschi – per cui una chiesa, di proprietà dell’ente pubblico, diventerà, attraverso procedure legittime, un luogo di culto musulmano. Bisogna ammettere che tutto questo alimenta sconcerto nell’intera comunità cristiana cattolica e ortodossa, pur nel riconoscimento del legittimo diritto per comunità di altre religioni a poter pregare in luoghi deputati per questo e – sottolinea il presule – spesso ostacolate nella realizzazione di questo diritto».
Di fronte all’«esito paradossale» della vicenda, il vescovo di Bergamo chiede «assunzioni di responsabilità, da parte di chi ci governa, nei confronti delle diverse comunità religiose, non ultima quella ortodossa romena ora rimasta senza una chiesa per pregare e alla quale desideriamo manifestare la nostra vicinanza fraterna e l’impegno per la ricerca di una nuova sistemazione».
Il presule: «Sia riconosciuta la rilevanza sociale della dimensione religiosa»
Un impegno confermato da Beschi ad Avvenire: «Ci sono luoghi di culto di proprietà della Chiesa cattolica che potremmo mettere a disposizione, fra cui alcuni già presi in esame prima che la comunità ortodossa romena trovasse accoglienza nella chiesa del vecchio ospedale. Con loro abbiamo un cammino ecumenico consolidato, fraterno, bellissimo. Ci sentiamo davvero molto coinvolti in questa vicenda. E dopo l’esito del bando ci siamo messi subito in gioco per verificare ipotesi antiche e nuove. Per altro – prosegue il vescovo – ci tengo a dire che i rapporti di natura interreligiosa con la comunità musulmana di Bergamo sono molto cordiali, contrassegnati dalla stima reciproca e dalla collaborazione nell’attenzione ai bisogni e nei gesti di solidarietà».
La vicenda si colloca dentro un preciso scenario: «In questa fase è la legislazione regionale a rendere difficile la realizzazione di nuovi luoghi di culto da parte di altre comunità religiose. Questo diritto fatica ad essere riconosciuto però non solo da parte di chi ci governa, rappresenta e interpreta politicamente, ma anche da parte dell’opinione pubblica. Da questa vicenda – conclude Beschi con Avvenire – possiamo trarre alcuni insegnamenti. Le comunità religiose, a partire da quelle cristiane, sono soggetti che hanno una rilevanza pubblica e sociale che chiede e merita di essere riconosciuta, com’è spesso accaduto in passato.
Lo stesso vale per le comunità non cristiane. Io credo che in una società plurale, mentre le comunità religiose crescono nel dialogo ecumenico e interreligioso, come compete loro, le autorità pubbliche debbano sapersi assumere la responsabilità di garantire l’esercizio di quei fondamentali diritti che appartengono ad ogni persona e ad ogni comunità. Ebbene: di fronte ai tentativi di risolvere questi problemi "privatizzando" sempre più il fatto religioso, rispondiamo chiedendo il riconoscimento – anche sul piano legislativo – della rilevanza sociale della dimensione religiosa».