martedì 9 aprile 2024
VII Rapporto dell'Associazione 21 luglio: 15.800 le persone di etnia romanì in emergenza abitativa (12.200 in più nel 2016). Dal 2019 diversi Comuni si stanno impegnando per il superamento dei campi
Rom, in 8 anni quasi dimezzate (meno 44%) le presenze nelle baraccopoli
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La notizia, stavolta, è una buona notizia. I rom e i sinti in emergenza abitativa in Italia - cioè in insediamenti formali, i cosiddetti "campi sosta" comunali, o informali, vere baraccopoli - sono circa 15.800, pari allo 0,03% della popolazione italiana. Persone che vivono in situazioni di grave degrado, ma in calo dal 2016 (anno del primo rilevamento dell'Associazione 21 luglio), con un decremento da allora del 44%, pari a 12.200 persone in meno. Molti sono tornati nei loro paesi di origine, molti altri però sono riusciti a uscire dai "ghetti monoetnici" creati dalle amministrazioni locali a partire dagli anni '80, per trasferirsi nelle case popolari o in appartamenti affittati o acquistati. Grazie all'iniziativa personale o a politiche sempre più diffuse tra i comuni per il superamento dei campi. Cosa ben diversa dalla chiusura pura e semplice, con gli sgomberi forzati degli anni scorsi che non risolvevano i problemi ma semplicemente li spostavano.

C'è insomma uno spiraglio di luce nel VII Rapporto annuale dell'Associazione 21 luglio, non a caso intitolato Vie di uscita. «Un titolo positivo, che indica che qualcosa si sta muovendo - commenta Carlo Stasolla di Associazione 21 luglio - nonostante le molte criticità. Le amministrazioni locali dal 2018 non costruiscono più nuovi insediamenti e stanno orientandosi verso il superamento. Anche i discorsi e le azioni di odio, cioè i casi di antiziganismo, sono in calo». Il Rapporto è stato presentato - all'indomani della Giornata internazionale dei rom, sinti e camminanti - nella Sala degli atti parlamentari della Biblioteca del Senato. A introdurre la conferenza la senatrice Stefania Pucciarelli della Lega, presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato. Il rapporto è stato illustrato da Roberta Giordani della 21 luglio. Testimonianze sui superamenti dei campi sono arrivate dal sindaco di Gioia Tauro, Alessio Aldo, dall'assistente sociale del Comune di Asti Luca Tomatis, dalla consigliera del comune di Latina Simona Mulè.

La presentazione del Rapporto alla biblioteca del Senato

La presentazione del Rapporto alla biblioteca del Senato - L.Liv.

Nelle oltre 90 pagine del rapporto (disponibile sul sito dell'Associazione 21 luglio) ricche di dati, tabelle, analisi e riferimenti giuridici, c'è infatti anche una panoramica sulle buone pratiche in atto in diversi comuni italiani, dal Nord al Sud. Dunque sono 15.800 rom che vivono in container, baracche, occupazioni. «Se fosse confermata la stima del Consiglio d’Europa di una presenza di persone rom in Italia pari a 180 mila unità - afferma la 21 luglio - si potrebbe affermare che allo stato attuale, nel nostro Paese, meno di 1 cittadino rom su 10, può essere identificato come un abitante del “campo”. Una verità destinata da sola a smontare un caleidoscopio di “leggende urbane” ancorate a stereotipi e pregiudizi». Dei rom in emergenza abitativa quindi circa 13.300 vivono nelle 119 baraccopoli istituzionali, chiamate impropriamente "campi sosta", quando i rom da molti decenni non sono più nomadi, semmai profughi negli anni '90 dalle guerre che hanno dissolto la Jugoslavia. Di fatto "ghetti su base etnica", presenti in 75 comuni e in 13 regioni. Altri 2.500 circa sono i rom presenti nelle baraccopoli informali, i micro-insediamenti ancora più degradati.

Cambiano le nazionalità nelle diverse tipologie degli insediamenti: in quelli informali ci sono quasi solo rom romeni, mentre nelle baraccopoli istituzionali la maggior parte dei rom e sinti, circa il 62%, ha la cittadinanza italiana, pari a circa 8.100 persone. Il resto sono romeni (il 10%, circa 1.300) o di paesi dell'ex-Jugoslavia. Vivere in strutture fatiscenti e senza servizi ha un costo molto pesante: l’aspettativa di vita di chi vive in insediamenti monoetnici all’aperto è di almeno 10 anni inferiore a quella della popolazione italiana. Il 55% dei residenti nei campi ha meno di 18 anni. E sono meno di 1.000 i rom in emergenza abitativa a forte rischio apolidia in Italia.

Le più grandi baraccopoli informali sono concentrate nella città di Napoli. L’Area Metropolitana di Napoli è quella nella quale è presente la più alta concentrazione di rom in emergenza abitativa: una presenza di circa 3.290 persone di etnia rom (56% originari dell’ex Jugoslavia, 44% cittadini romeni) in grave emergenza abitativa, pari allo 0,11% del totale della poolazione della zona, contro la media nazionale dello 0.03%. Quelle formali sono 7 nei comuni di Napoli, Afragola, Casoria, Caivano e Giugliano in Campania. Quelli informali sono 12, tra Napoli e Giugliano.

La città con il maggior numero di baraccopoli istituzionali (ben 9) è la città di Roma, dove i rom nei campi e nelle baraccopoli sono 2.392, soprattutto romeni (57%) e italiani (24%). Le principali aree residenziali monoetniche sono registrate nella Regione Calabria, nello specifico nel Comune di Cosenza e in quello di Gioia Tauro.

E sembra archiviata la stagione degli inefficaci e persecutori sgomberi forzati: dai 250 portati a termine nel 2016 si è scesi a 195 nel 2018, e solo 70 nel biennio 2020/21 grazie alla moratoria “Covid” prevista dal Decreto Legge n.18 del 17 marzo 2020, che rendeva ogni operazione di sgombero una violazione della legislazione nazionale. Infine, nel successivo biennio 2022/23, zero sgomberi. Dalla chiusura dei campi, dunque, comincia la stagione del superamento.

Il Rapporto spiega infatti che «dal 2019 sempre più le amministrazioni comunali di Asti, Lamezia Terme, Prato, Collegno e Roma si sono impegnate in azioni volte al superamento degli insediamenti sui rispettivi territori». Merito anche della progressiva implementazione della Strategia nazionale per l'uguaglianza, l'inclusione e la partecipazione dei rom in Italia 2021-2030, su imput dell'Unione Europea. Strategia, sottolinea la 21 luglio, che però «non è vincolante e non prevede sanzioni a quelle amministrazioni che violano apertamente i suoi principi». Tra i progressi, da registrare ci sono in particolare le iniziative del comune di Collegno, che nell'estate 2023 «ha definitivamente superato l'insediamento in Strada della Belia abitato dal 1997 da rom dell'ex Jugoslavia». E nello stesso periodo l'amministrazione di Roma «ha approvato il Piano d'azione cittadino per il superamento di 6 "villaggi attrezzati" della Capitale in cui sono presenti più di 2 mila persone».

Marito anche della stessa Associazione 21 luglio, che dal 2021 affianca le amministrazioni comunali interessate, che hanno comunità rom in condizioni di emergenza abitativa, proponendo il modello Ma.Rea. (MAppare e REAlizzare comunità) per il superamento dei campi, un approccio innovativo e partecipativo, adottato da diversi comuni con giunte sia di centrosinistra come di centrodestra. Tra le "buone pratiche" in atto, da registrare anche il progetto Gipsy Comm, presentato ieri a Roma nel V Municipio, finanziato dall'Unar (l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali). Gestito dall'organizzazione nonprofit Sos Europa, coinvolgerà esperti della comunicazione, attivisti per i diritti umani e membri delle comunità Rom e Sinti per condividere esperienze e conoscenze, per superare gli stereotipi e i pregiudizi, in laboratori interattivi per la conoscenza delle culture Rom e Sinti attraverso l'arte, la musica, la danza e altre forme di espressione creativa.

«Il momento è storico – sostiene Carlo Stasolla – e particolarmente favorevole per le 75 Amministrazioni comunali che governano i territori su cui insistono i 119 insediamenti monoetnici, affinché possano, con coraggio e determinazione, avviare processi di superamento, per cancellare in forma definitiva quella “vergogna sociale” che fa sì che l’Italia dall’anno 2000 venga considerata nel panorama europeo come il “Paese dei campi”».





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