Un Paese fragile, con profonde disuguaglianze sociali e territoriali. In cui i nuovi nati sono sempre meno e le opportunità, fin dai primi mille giorni di vita, non sono uguali per tutti. Dalla salute all’ambiente, ai servizi educativi. Lo dicono i numeri. Nel 2023 in 340 comuni italiani non è nato nemmeno un bambino. Il 13,4% delle bambine e dei bambini tra 0 e 3 anni è in povertà assoluta. La povertà nella fascia tra 0 e 5 anni è passata in due anni dal 7,7% del 2021 all'8,5%. L'8,5% tra 0 e 5 anni (200 mila bimbi) non ha almeno un pasto proteico ogni due giorni. Uno su 10 (il 9,7%) vive in case non sufficientemente riscaldate. E le spese per latte e pappe in 4 anni è aumentata quasi del 20%. È una fotografia preoccupante quella scattata da Save the Children "Un due tre…stella. I primi anni di vita” che oggi pubblica la XV edizione dell'Atlante dell'infanzia a rischio in Italia. L'unico dato positivo è quello sugli asili nido. Ma con alcune eccezioni nel Meridione.
«Troppi genitori oggi in Italia affrontano la nascita di un bambino in solitudine - sostiene Claudio Tesauro, Presidente di Save the Children - senza cioè poter contare su adeguate reti di sostegno. Il supporto alla prima infanzia è un obiettivo da mettere al centro di tutte le scelte della politica: nel campo della salute come in quello dei servizi educativi; nel contrasto alla povertà così come nella tutela dell’ambiente».
Nuovo record negativo di denatalità. Nel 2023 l’Italia ha toccato un nuovo record di denatalità, con solo 379.890 nuovi nati. Le bambine e i bambini tra 0 e 2 anni rappresentano attualmente appena il 2% della popolazione nazionale, ma lo squilibrio tra generazioni è destinato ad ampliarsi progressivamente in futuro. Se oggi i minorenni sono il 15,3% della popolazione, nel 2050 saranno il 13,5%. Al contrario, la generazione sopra i 65 anni passerà dall’attuale 24% al 34,5% nel 2050. Nel 2002-2003 in Italia erano presenti poco meno di 2 milioni di famiglie con almeno un bambino sotto i 3 anni (1 milione 920mila), l’8,7% del totale dei nuclei con o senza figli. A soli dieci anni di distanza, si sono ridotte a meno di 1 milione e mezzo (1 milione 450mila), ossia il 5,7%. Infine nel 2023 in 340 Comuni italiani (tutti con meno di 5mila abitanti) non è nato nessun bambino e in 72 Comuni non ce ne sono sotto i 3 anni . Il Piemonte la regione con il maggior numero di Comuni senza bimbi sotto i 3 anni (34), poi Lombardia (10 comuni) e Abruzzo (8). La Sardegna la regione con meno bambini da 0 a 2 anni rispetto alla popolazione, l’1,49%, nella Provincia di Bolzano il tasso più alto (2,76%).
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In crescita i bambini piccoli poveri.
Sono 1 milione 295mila i minori in povertà assoluta in Italia, il 13,8% del totale, e sono loro i più poveri tra le generazioni. Poveri tra gli anziani sono il 6,2% degli over 65, il 9,4% dei 35-64enni, l’11,8% dei 18-34enni.
Nel 2023, circa 200mila bambine e bambini tra 0 e 5 anni (8,5% del totale) vivevano in povertà alimentare, cioè in famiglie che non riescono a garantire almeno un pasto proteico ogni due giorni. Erano il 7,7% solo nel 2021. Oltre la metà al Sud e nelle isole, dove la percentuale sale al 12,9%, contro il 6,7% del Centro e il 6,1% del Nord. Quasi un bambino su dieci (9,7%) della stessa fascia d’età ha sperimentato la povertà energetica, cioè vive in una casa non adeguatamente riscaldata (16,6% al Sud e nelle isole, 7,3% al Centro e 5,7% al Nord). Anche qui l’incidenza è cresciuta rispetto al 2021, era all’8,6%. Le deprivazioni nei primi anni vita sono nocive alla salute per le fasi successive della vita e diventano fattori di trasmissione della povertà alle generazioni successive.
Crescono le spese per la famiglie con bambini. Da un’analisi realizzata col Centro Studi di Confindustria, emerge che in 4 anni, dal 2019 al 2023, la spesa indispensabile per “latte e pappe” ha subìto un aumento del 19,1%, più del forte aumento dell’indice generale dei prezzi (16,2%). Rincari anche per i costi dei nidi, 11,3%. Inoltre tra il 2014 e il 2024 i costi pre-nascita (come visite mediche, ecografie, abbigliamento premaman) sono cresciuti del 37%, passando dai circa 2.000 euro complessivi del 2014 a oltre 2.740 nel 2024. Le spese per i pannolini dal 2021 al 2024 sono cresciute dell’11% (552 euro annui) e quelle per le creme del 14% (50,4 euro annui).
Positiva (ma insufficiente al Meridione) la spesa per gli asili nido. Oggi soltanto il 30% delle bambine e dei bambini tra 0 e 2 anni trova posto all’asilo nido, con profondi divari territoriali. E variazioni tra regioni che arrivano a superare i 30 punti percentuali: si va infatti dal 46,5% dell’Umbria, regione con la copertura più alta, al 13,2% della Campania e al 13,9% della Sicilia.
Quale sarà l'impatto degli investimenti complessivi del Pnrr e del nuovo Piano nidi promosso ad aprile dal Ministero dell’Istruzione e del Merito? L’investimento consentirà effettivamente di accrescere la copertura nazionale di oltre 10 punti percentuali, raggiungendo il 41,3%, ma i gap territoriali rimarranno piuttosto ampi. Undici regioni riusciranno a superare il target del 45%: Molise, Umbria, Abruzz, Emilia-Romagna, Valle d’Aosta, Marche, Sardegna, Toscana, Lazio, Liguria e Friuli-Venezia Giulia. Sette regioni raggiungeranno livelli compresi tra il 38% e il 45% di copertura: Trentino-Alto Adige, Basilicata, Lombardia, Veneto, Piemonte, Calabria e Puglia. Le due regioni fanalino di coda, Campania e Sicilia, nonostante l’investimento non riusciranno a raggiungere neanche la copertura del 33%. La Campania è previsto si attesti al 29,6%, la Sicilia al 25,6%.
Da tenere presente poi i costi di gestione degli asili nido che cresceranno notevolmente con l'aumento delle strutture. Previsto uno stanziamento ad hoc nel Fondo di solidarietà comunale (Fsc) poi confluito nel Fondo speciale equità livello dei servizi. Su 7.904 comuni ne sono stati finanziati 5.150, ma di questi ben 1.945 non hanno attivato alcun progetto Pnrr per l'attivazione di nuovi posti.
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Italia divisa anche per la salute dei bambini. Nonostante la sanità neonatale italiana sia un'eccellenza, registra ampie disuguaglianze territoriali. Ad esempio per la disponibilità di posti in terapia intensiva pediatrica. In Italia erano solo 273 nel 2023 , con una carenza del 44,4% rispetto agli standard europei e una distribuzione disuguale sul territorio: 128 al Nord (a fronte di un fabbisogno di 222), 55 del Sud e isole (ne servirebbero 168), 90 del Centro (sotto solo di 2 posti). In Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Umbria, Molise, Basilicata e Sardegna non esistono posti letto di terapia intensiva pediatrica.
Un altro esempio? I pediatri, un punto di riferimento indispensabile per i bambini e le famiglie, sono troppo pochi. Nel 2022, ultimo anno per il quale il Ministero della Salute fornisce un dato ufficiale, il carico medio potenziale per pediatra (cioè il numero di bambini residenti nell’area in cui opera un medico pediatra) è a livello nazionale di 993 bambini – con un’ampia variabilità territoriale (da 863 bambini per pediatra in Toscana a 1.281 in Piemonte). I pediatri con più di 800 assistiti (il numero massimo secondo l’Accordo Collettivo Nazionale di allora), erano il 72,8%, con punte di 86,9% in Veneto, 86,3% in Piemonte, 86,7% nelle Marche. Miglioramenti infine sono da registrare alla voce tagli cesarei, in calo del 36% rispetto al 2012. Resta però alta la propensione nelle case di cura private accreditate, col cesareo usato nel 44,5% dei parti a fronte del 29,3% degli ospedali pubblici. Varia il dato da regione a regione: dal 18,3% della Tpscana al 48,6 della Campania e al 36,5% del Lazio