Dal primo gennaio alla fine di settembre 2022 oltre 16mila migranti sono stati riportati indietro dalle forze marittime della Libia. Le «operazioni» sono state più di 160; in netto aumento rispetto al passato. La parola «operazione» in questo contesto può assumere due significati: salvataggio oppure intercettazione di un gommone di migranti. Per questi ultimi il finale è sempre lo stesso: il rientro in un centro di detenzione della Libia, dove subiscono abusi e torture, fino al prossimo tentativo di traversata.
Al momento, per le stime ufficiali, sarebbero circa 3mila i migranti detenuti.Senza il contributo dell’Italia e di altri paesi europei, la Libia non avrebbe delle forze marittime in grado di svolgere queste operazioni. A dare maggiore impulso alla collaborazione Italia-Libia è stato il Memorandum of Understanding firmato con Tripoli nel febbraio 2017, che si rinnoverà automaticamente entro il 2 novembre per altri tre anni. Nel solco di questo accordo, l’Italia ha fornito almeno 12 navi e gestisce gli affidamenti delle gare per la loro manutenzione; fornisce equipaggiamenti, somministra corsi di formazione, guida il progetto per la creazione di un centro di coordinamento delle operazioni di salvataggio (in inglese Maritime rescue coordination center - Mrcc).
Le fonti di finanziamento per questi progetti sono sia italiane, sia europee e non le amministra un’unica cabina di regia. Il risultato è una spesa frammentata e poco trasparente, suddivisa su diverse stazioni appaltanti: Polizia, Guardia di Finanza, Marina Militare ed Invitalia, l’agenzia che ha tra le sue funzioni implementare i progetti europei. Da anni molte organizzazioni chiedono una diversa condivisione dei dati, alla luce delle ripetute violazioni dei diritti umani dei migranti e delle morti in mare. A dispetto della spesa, il tasso di mortalità del 2021 è stato del 4,7%, quello del 2017 era il 2,6%. Il dato indica la percentuale di persone annegate e disperse sul totale di chi è partito quell’anno.
Dallo scorso anno ActionAid gestisce un osservatorio sulle spese per l’esternalizzazione delle frontiere, The Big Wall, il Grande Muro. Ha tracciato l’impegno di oltre un miliardo di euro (soldi italiani, a volte con l’aiuto dell’Ue) a partire dal 2015. Insieme a IrpiMedia, The Big Wall ha analizzato esattamente quanti e dove sono stati spesi questi finanziamenti nel Mediterraneo Centrale.
Il caos libico.
In Libia le forze marittime sono frammentate e contaminate dai gruppi armati di varia appartenenza. Ci sono formazioni che rispondono a signori della guerra per la maggior parte fedeli alla presidenza del Consiglio, quindi al premier Dbeibah. Poi ci sono le forze “ufficiali”, cioè la Guardia Costiera Libica (Gcl) e l’Amministrazione generale della sicurezza costiera (di cui Gacs è l’acronimo inglese), che sono affiliate al ministero della Difesa e al ministero dell’Interno di Tripoli. Anche queste due sono infiltrate da alcune milizie, come la brigata al-Nasr, considerata dalle Nazioni Unite un’organizzazione di trafficanti di esseri umani e contrabbando di gasolio.
La brigata è responsabile della Gcl di Zawiyah, ovest della Libia. Gli uomini di al-Nasr sono guardie e ladri allo stesso tempo, interessati alle forniture italiane per imporre il proprio potere in mare. Per loro e per altre forze marittime della Libia la promessa di effettuare salvataggi dei migranti è stata negli anni una moneta di scambio.
Il progetto Sibmmil.
La prima fase del Support to Integrated Border Management and Migration Management in Libya, acronimo Sibmmil, avrebbe dovuto concludersi nel 2020 ma solo nel corso del 2022 ha ottenuto alcuni dei risultati previsti. È uno dei principali mattoni del Grande Muro del Mediterraneo Centrale. Ha come obiettivi principali il rafforzamento sia delle capacità di salvataggio in mare, sia del controllo del confine marittimo. Tra il 2017 e il 2022, secondo la Ragioneria di Stato, l’Italia ha speso 27,2 milioni di euro di fondi europei dedicati a questo progetto. La dotazione prevista è di circa 44,5 milioni di euro, di cui l’Italia ha fornito circa 2 milioni. Il nostro ministero dell’Interno ne è l’ente attuatore. Tra i beneficiari del progetto, c’è anche l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), agenzia affiliata alle Nazioni Unite a cui spetta, tra le varie mansioni, «l’effettiva verifica dei pubblici ufficiali libici che partecipano all’addestramento affinché siano esclusi coloro che hanno commesso abusi e violazioni dei diritti umani». La strategia sembra rispondere alle rivelazioni del 2019 di Avvenire: tra i guardacoste che arrivarono in Italia per la formazione c’era anche Adel Rahman al-Milad detto Bija, esponente del clan al-Nasr, accusato di traffico di migranti e contrabbando di gasolio. Il processo di verifica dovrebbe evitare che l’incidente si ripeta. Dei 27,2 milioni di euro spesi dall’Italia è stato possibile tracciarne oltre quattro-quinti, circa 20 milioni, tra appalti già completati e altri in corso di assegnazione. Le principali voci di spesa sono 8,3 milioni per nuovi mezzi marini (20 barche veloci di diverse lunghezze); 3,4 per mezzi terrestri (30 fuoristrada, 14 ambulanze e dieci minibus); 5,7 per ricambi e manutenzione degli assetti navali; un milione in attività di addestramento e un milione per 14 container (dieci dei quali arrivati a Tripoli lo scorso dicembre). Il bando di gara prevede che uno di questi diventi la sede dell’Mrcc, il centro di coordinamento dei salvataggi in mare, una delle forniture fondamentali per rendere le forze marittime libiche indipendenti. Secondo il ministro della Difesa del governo uscente Guerini, «dal 3 luglio 2020 l’attività è condotta in piena autonomia dalla marina libica presso proprie infrastrutture a terra e senza coinvolgimento alcuno del personale della Difesa italiano» (7 luglio 2021, Commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato). Fonti dalla Libia smentiscono, però, questa ricostruzione.
Il ruolo di coordinamento.
A parlare è una persona che fino al 2021 è stata dentro il centro di coordinamento dei salvataggi a Tripoli e che ancora oggi conosce l’intera catena di comando. Parla in forma anonima, perché non è autorizzata a rilasciare interviste. Il container con il centro di coordinamento previsto dal progetto Sibmmil sarebbe bloccato al porto commerciale a causa di un braccio di ferro tra Marina militare e Guardia costiera, le due forze che rispondono al ministero della Difesa. La Gcl vuole maggiore autonomia nella gestione dei salvataggi all’interno di una base a Tajoura, a est della capitale. Oggi il coordinamento funziona da un appartamento nel centro della città. Le indicazioni sulle navi in difficoltà arrivano ancora per lo più dall’Italia (in misura molto minore da Malta e Spagna). Quando l’europarlamentare della Die Linke Özlem Demirel ha chiesto queste stesse informazioni, la Commissione ha risposto, ad aprile, che «al momento stiamo discutendo con le autorità libiche per identificare il luogo più adatto per l’Mrcc» e non ha fornito indicazioni su dove si trova l’ufficio. Insieme al container sono arrivati in Libia anche apparecchiature radio e radar. La Marina Militare e le aziende italiane coinvolte nella fornitura hanno confermato l’invio dei materiali ma non commentato l’implementazione del progetto Sibmmil.
Sconfinamenti a Malta.
I sostenitori della cooperazione con la Libia possono tuttavia affermare che l’efficienza delle forze marittime sia aumentata. Oltre ai numeri, lo dimostrano i casi di sconfinamento delle navi libiche nella Regione di ricerca e salvataggio di responsabilità maltese. Sia Mediterranea, sia Sea Watch, sia Msf hanno raccolto diversi casi a partire dall’ottobre 2019. Il più recente è stato riportato lo scorso giugno. Le ong escludono che sia solo uno sbaglio, considerato il fatto che le unità libiche ricevono costante supporto logistico dai droni che Frontex usa quotidianamente.
(IrpiMedia, ha collaborato Antonella Mautone)