mercoledì 6 marzo 2024
«Tra poco saremo italiani», dicono Aurel, Neurent e Rei, ospitati dai padri Mercedari
A Firenze i sogni dei ragazzi albanesi accolti dai frati
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Senza conoscere una parola di italiano, Neurent Tabaku si è presentato alla questura di Firenze per chiedere un tetto. «Non sapevo dove andare», confessa. Con sé portava solo i vestiti, leggeri, con cui era fuggito dalla sua Albania al torrido caldo di un lontano 25 luglio. «I giorni che ti cambiano la vita non si dimenticano», racconta da Los Angeles, dove ha raggiunto pochi mesi fa la donna che è diventata sua moglie. Era il 2012 quando per la prima volta, quindicenne, ha messo piede in Italia. Oggi Tabaku ha 27 anni, ma lavora da quando ne aveva 18: «A darmi questa opportunità – spiega – sono stati i padri mercedari. Mi hanno insegnato la lingua, mi hanno iscritto a scuola e mi hanno accompagnato a ogni visita medica. Sono la mia seconda famiglia».

A due giorni dal suo arrivo a Firenze – e poi per altri tre anni e mezzo – Tabaku è stato ospitato in uno dei centri d’accoglienza in mano ai frati dell’ordine di Santa Maria della Mercede. Che da oltre 40 anni, nella periferia meridionale della città, aprono la porta a minori stranieri non accompagnati in centri di pronta accoglienza e comunità familiari. E spesso non li abbandonano neppure da maggiorenni, accompagnandoli fino all’autonomia. «È grazie a quel periodo di accoglienza dopo i 18 anni – continua Tabaku – che sono riuscito a mettere soldi da parte e a coltivare il mio sogno».

Il suo, in realtà, è un futuro a cui i 23.266 minori stranieri presenti in Italia (dati al 31 dicembre 2023 del ministero del Lavoro) non possono ambire. Le strutture, in decine di Comuni, hanno esaurito i posti e sono piegate dal sovraffollamento: «Mancano risorse e posti letto», ha denunciato più volte il primo cittadino di Prato e delegato Anci alla migrazione, Matteo Biffoni. A queste condizioni, in tanti preferiscono uscire dal sistema di accoglienza: nel 2023 oltre 10mila ragazzi hanno abbandonato volontariamente un centro in cui erano ospitati e quasi il 90% di loro lo ha fatto a meno di un anno dall’ingresso nella struttura. In altre parole, oltre un minore su tre che arriva in Italia interrompe il proprio progetto d’integrazione nel giro di 12 mesi. Nelle case mercedarie di Firenze, però, si assiste anche al fenomeno dei “rientri” volontari. «Ancora oggi vado a dare una mano in struttura quando ho tempo. Due o tre volte al mese, se manca qualcuno, lavoro pure di notte». A raccontarlo è Aurel Xibrraku, 28enne originario di Elbasan, città albanese a 40 chilometri da Tirana, giunto in Italia quasi maggiorenne. Nel giorno in cui ha compiuto 18 anni, davanti a sé aveva un futuro precario: «Non conoscevo la città e non parlavo l’italiano – confessa –. Ma i padri mercedari mi hanno salvato, facendomi stare con loro altri tre anni e mezzo». E così Xibrraku ha potuto frequentare una scuola professionalizzante, ha iniziato a lavorare e ha messo da parte qualche risparmio. Oggi vive a Firenze con la sua compagna e coltiva un duplice sogno: aprire un bar in proprio e diventare cittadino italiano. «La cittadinanza non è lontana – dice sorridendo –. Ho la residenza e la carta di soggiorno da otto anni: ne mancano solo due». Con il paradosso che, se Xibrraku, come desidera, avesse oggi un figlio con la sua compagna albanese, quest’ultimo non potrebbe richiedere la cittadinanza prima dei 18 anni. Al contrario del padre, che potrebbe ottenerla già nel 2026.

Anche per questo, spiega il provinciale dell’ordine, fra Efisio Schirru, «i ragazzi faticano a proiettarsi verso il futuro e a immaginare una vita oltre il diciottesimo anno». Lo sa bene Rei Cekrezi, accolto nei centri mercedari dal 2018 al 2021 e tuttora ospite dei frati in attesa di «mettere qualche euro da parte». Per lui, la cittadinanza italiana è un traguardo lontano che passa, prima di tutto, dalla realizzazione professionale: «Un tempo il mio sogno era fare il cuoco – racconta – ma ora, avendolo già raggiunto, voglio diventare uno chef affermato. I padri mercedari mi hanno aiutato moltissimo a capire chi voglio diventare nella vita».
I centri mercedari, organizzati a misura d’uomo, offrono ai minori stranieri il tempo e le risorse necessarie all’integrazione. «Cerchiamo il più possibile di renderli partecipi del loro sviluppo verso l’indipendenza: in questo ci differenziamo dalle altre realtà d’accoglienza – conclude fra Schirru –. Il maggior successo è quando a 18 anni hanno già un lavoro e una casa dove stare».

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